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Non dobbiamo dimenticare la banalità dell’orrore

Auschwitz

di Raffaele Crocco

È la cifra che sgomenta. Troppo grande, troppo incredibile per lasciare spazio ai ragionamenti.

Fossero solo numeri e voleste contarli, 1,2,3,4,.., sarebbero uno ogni secondo. Impieghereste 69 giorni e 6 ore, senza dormire, senza mangiare, senza andare in bagno, per arrivare in fondo. Sempre contando: 1,2, 3, 4…

Fossero solo parole sarebbero 210mila pagine. Sarebbero 1.166 Bibbie stampate da Gutemberg a metà del ‘400 per far conoscere al Mondo la meraviglia dei suoi caratteri mobili

Fossero solo chilometri, sarebbero 150 volte il giro del Mondo lungo l’equatore. Senza pause, senza fermarsi

Erano invece 6milioni di esseri umani. Erano donne, uomini, bambini, anziani. Erano persone normali assassinate, derubate, trattate come bestie, disumanizzate. Persone che sono diventate una fotografia appesa al muro di mattoni di una baracca ad Aushwitz. Persone che sono state trasformate in cosa, in bene di produzione, in materia prima utile alla Germania. Una materia prima fatta di capelli, pelle, ossa, denti d’oro.

Sono diventate ricordi che non abbiamo quasi più, che sbiadiscono nelle celebrazioni invece di fissarsi nell’orrore. Un orrore banale, sciatto, quotidiano. Un orrore che fa impazzire. Realizzato, compiuto, portato a termine con tenacia ragionieristica da altre persone che apparivano normali: vestivano una divisa, si alzavano al mattino, andavano al lavoro, avevano una famiglia, dei figli che baciavano sulla porta di casa. Ma sapevano assassinare, depredare, distruggere con l’accanimento indifferente di un operaio in catena di montaggio.

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È questa memoria che stiamo perdendo. La memoria dell’orrore che ogni individuo ha compiuto e sa e può compiere. Si perde nell’eccesso del numero, troppo grande per avere un senso. Pensateci: ci commuoviamo per la foto di un bimbo morto annegato e gettato a riva dal mare. Dei mille bambini che in fondo a quel mare sono sepolti a causa dello stesso viaggio, noti, ma anonimi, non ci importa nulla. Così, i discendenti di quell’orrore confondono le acque, mescolandolo con altri orrori, con le Foibe, altri genocidi, altre stragi. E la storia così chiara nei suoi contorni, precisa, documentata, viene negata, annacquata, confusa.

Ogni 27 gennaio ripetiamo la litania del “non dimenticare”. Metà di noi, il 28 gennaio ha già dimenticato. La  Shoah rischia di andarsene con i suoi testimoni, un pezzetto ogni anno. Se ne va, perché restiamo sbalorditi dal numero, ma non ricordiamo l’orrore spicciolo, brutale che ognuno di quei morti ha subito. Non ricordiamo l’orrore spicciolo, brutale che ogni carnefice ha saputo infliggere. Non facciamo sbiadire questo ricordo. Lo dobbiamo a quei 6milioni di esseri umani normali, uccisi da altri esseri umani normali. È l’unico vaccino che abbiamo per tentare di fermare il prossimo orrore.

Foto scattata ad Auschwitz.

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