Ricapitalizzazioni, allargamenti, nuovi modi di intendere l’economia e lo sviluppo. Questi sono solo alcuni degli spunti che si sviluppano dal dibattito che riguarda gli istituti finanziari internazionali.
Dal 2015, alla rodata (e molto spesso criticata) Banca Mondiale si è contrapposta la Nuova Banca di Sviluppo dedicata alle economie dei cinque Paesi emergenti, i Brics: Brasile, Riussia, Cina, India e Sudafrica, cioè il club informale delle economie emergenti. L’hanno creata facendo affidamentosugli enormi surplus delle proprie bilance dei pagamenti e sui livelli di debito pubblico assai più bassi di quelli dei Paesi industrializzati.
La banca è parte della strategia dei Brics, varata nel 2009: affrancarsi dall’influenza degli storici “Paesi industrializzati”, aderenti al G7..
Nel Brics Summit di Xiamen, del settembre 2017, è nata (almeno nei propositi) Brics Plus, l’opzione che punta ad allargare la compagine anche ad altri Paesi in via di sviluppo e a economia forte, purché si trovino politicamente al di fuori delle sfere di influenza dominanti.
Al summit di Xiamen hanno partecipato, su invito, vari Paesi osservatori come il Messico, l’Egitto, la Guinea, il Tajikistan e la Thailandia. Tutte realtà che potrebbero avere interesse ad entrare nella sfera Brics.
Ben 500 miliardi di renminbi (la valuta della Repubblica Popolare Cinese) sono stati messi a disposizione per le azioni previste da ora in poi per i Bric. Per la prima volta il presidente cineseXiJinping ha informato direttamente la stampa dellaroadmap che vuole valorizzare il ruolo politico dei Brics, anche all’interno della compagine del G20.
A coronare tutti i progetti politici ci sarebbe appunto la New Development Bank, come a dimostrare che, in questo caso, la finanza segue una precisa scelta politica, di campo.
In uno studio del 2011, JimO’Neill, economista della banca d’affari Goldman Sachs, sostenne che le economie dei Brics erano destinate a crescere in modo irresistibile, tanto che a metà secolo il loro Pil avrebbe raggiunto un livello analogo a quello dei sei Paesi più sviluppati
Questa previsione sembra essere ad oggi valida, con qualche dubbio.
Se dal 2000, il Pil pro-capite di Brasile, Russia, India e Cina, a parità di potere d’acquisto, è cresciuto del 99%, rispetto al 35% dei maggiori Paesi industrializzati, non si deve ignorare le difficoltà che stanno colpendo la Russia, legata soprattutto all’esportazione di materie prime minerarie ed energetiche, il Brasile e il Sudafrica, in preda a profonde crisi politico-istituzionali.
Ad oggi, comunque, le prospettive della New Development Bank di sganciarsi definitivamente dalla Bm sembrano piuttosto ridotte: la Banca ad oggi ha finanziato progetti per 811 milioni di dollari, mentre nel solo 2015 la Banca Mondiale ha concesso finanziamenti per 11.569 milioni.
In questo contesto, in ogni caso la Banca Mondiale non può rimanere immobile.
Già nel 2015 il presidente Jim Yong Kim e i funzionari avevano ammesso “dobbiamo fare meglio e lo faremo”. In questo contesto, in ogni caso la Banca Mondiale non può rimanere immobile, anche per le critiche (e autocritiche) che si sono susseguite negli anni.
Molte le problematiche che la stessa Banca aveva riscontrato soprattutto per quello che riguarda il reinsediamento delle persone costrette a spostarsi a seguito delle costruzioni di grandi infrastrutture finanziate dall’istituto finanziario internazionale. Le creazioni nei Paesi in via di Sviluppo andavano spesso a ledere i dirittti di chi abitava i territori prima dell’infrastruttura.
La verifica interna sottolineava che più del 60% dei progetti che imponevano alle persone di spostarsi a causa delle costruzioni “mancavano di informazioni sullo status delle famiglie dopo il trasferimento”, specie per le comunità indigene.
Un altro problema riguardava poi la diminuzione delle tutele per le comunità locali: secondo 360 organizzazioni non governative, l’intento della Bm era quello di abbassare l’asticella della tutela, per favorire, ancora di più, la costruzione di grandi infrastrutture.
Tanti i casi che le associazioni indicavano come modelli negativi: nel 2013, gli ultimi cacciatori-raccoglitori del Kenya, i Sengwer, avevano fatto ricorso al tribunale keniota contro un progetto finanziato dalla Banca Mondiale che, in nome della conservazione della biodiversità, li cacciava dalla foresta di Embobut, dove erano sempre vissuti salvaguardandola. E la stessa sorte era toccata ai contadini dell’Aguan Valley in Honduras, cacciati con sgomberi violenti per far posto ad una piantagione di palma da olio finanziata con 75 milioni di dollari. Tutti questi esempi avevano fatto sì che l’immagine della Banca ne risentisse non poco.
In questo contesto di difficile presa di posizione (politica e finanziaria) va sottolineata una esperienza, seppur di dimensioni marginali, quella della GrameenBank, che con l’istituto del microcredito ha dato risposte a molte famiglie a basso reddito.
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La Banca Mondiale
La Banca Mondiale (BM) è la principale organizzazione internazionale per il sostegno allo sviluppo e la riduzione della povertà, istituita nel 1945. Ad oggi ne fanno parte 181 Paesi.
Mentre il Fondo Monetario Internazionale ha ricevuto il compito di promuovere la stabilizzazione delle relazioni monetarie e finanziarie internazionali, la Banca Mondiale è nata con l’obiettivo di sostenere la ricostruzione dei Paesi usciti devastati dal conflitto mondiale.
Completata la ricostruzione delle economie dei Paesi europei e del Giappone, la BM ha diretto la sua attenzione ai Paesi in via di sviluppo (PVS).
Ad oggi, la BM ha individuato la propria priorità d’azione nel raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio (Millennium Development Goals – MDGs) riportati nella “Dichiarazione del Millennio” durante la Conferenza delle Nazioni Unite del settembre 2000.
A differenza di altri donatori internazionali, la BM concede solo in minima parte assistenza sotto forma di dono ed elargisce crediti principalmente ai Governi dei Paesi membri o a favore di progetti sui quali vi sia una garanzia del Governo di uno Stato membro.
I PRSPs (PovertyReductionStrategyPapers, documenti strategici per la riduzione della povertà) sono lo strumento chiave del sostegno che la BM fornisce ai Paesi a basso reddito. Si tratta di documenti preparati dai Governi dei Paesi beneficiari (country ownership), in cui si formulano le politiche necessarie per fronteggiare la riduzione della povertà e stimolare lo sviluppo socio-economico.
La BM elabora poi le proprie Strategie di Assistenza Paese (Country Assistance Strategies – CAS) con cui pianifica i programmi di assistenza.
La BM è formalmente un’Agenzia specializzata delle Nazioni Unite ma a differenza del sistema ONU, il sistema di voto in seno alla BM è ponderato sulla base della quote di capitale versate dai suoi membri/azionisti.
E’ organizzata in cinque grandi aree di gestione: Ibrd (si occupa dei prestiti a nazioni sviluppate e a quelle povere, ma in grado di rimborsarli), Ida (concede prestiti a tasso zero e a lungo termine ai Paesi più poveri), Ifc (promuove investimenti di società private nei Paesi in via di sviluppo e fornisce consulenze a governi e imprese), Miga (dà garanzie agli investitori per eventuali perdite non dovute a ragioni commerciali), Icsid (si occupa di mediare e dirimere dispute tra investitori stranieri e governi).
Il prestito medio annuale garantito dalla Banca Mondiale è di circa 30 miliardi di dollari.
Le critiche di Donald e il nuovo fondo di Ivanka
Gli Stati Uniti sono il maggiore azionista della Banca Mondiale, ma la posizione critica del nuovo presidente Donald Trump nei confronti delle istituzioni multilaterali potrebbe comprometterne la ricapitalizzazione.
Nel 2017, aprendo le riunioni annuali di New York, il presidente della BM Jim Yong Kimha ammesso le resistenze Usa. Ha anche puntualizzato che molti azionisti stanno premendo sulla Banca, perché espanda le sue attività in tutto il mondo: dalle sovvenzioni ai Paesi più poveri, ai prestiti allo sviluppo al finanziamento per le imprese nei mercati dei capitali.
I finanziamenti della Banca Mondiale nell’esercizio finanziario che si è concluso lo scorso 30 giugno sono scesi a 58,8 miliardi di dollari: erano 61,3 i miliardi registrati nel 2015.
Le incertezze sulla BM non accomunano comunque tutta la famiglia. Ivanka Trump, consigliera e figlia di Donald Trump, ha infatti partecipato al lancio del fondo Women Entrepreneur Finance Initiative per la Banca Mondiale. Il fondo si pone di raccogliere 1 miliardo di dollari per favorire le donne imprenditrici perché “liberare completamente le potenzialità delle donne nell’economia porterà pace e stabilità”.
L’istituto, lanciato ad ottobre 2017, ha raccolto finora 340 milioni di dollari da vari paesi, di cui 50 milioni dagli Stati Uniti e può essere un passo importante per gli Usa dopo l’uscita dall’Unesco e la posizione di Trump in sede Onu.