Dossier/ Cartoline da Atlantide: territori e culture a rischio per il clima (2)

di Rita Cantalino

Nel Libro delle Cronache, un testo della Bibbia Ebraica, è menzionata Ofir, una Regione molto ricca da cui, secondo la leggenda, Re Salomone riceveva navi cariche di doni preziosi. È lì che credeva di essere arrivato nel 1568 l’esploratore spagnolo Álvaro de Mendaña quando, navigando le acque del Pacifico, si imbatté nelle isole che chiamò Solomon. L’arcipelago, a 1.600 chilometri dalle coste australiane, è la prima dimostrazione empirica delle conseguenze dei cambiamenti climatici sugli stati insulari.

Negli ultimi sette decenni il mare è cresciuto di 10 millimetri all’anno, sommergendo sette isole disabitate. Altre sei, abitate, hanno perso più del 20% della superficie. Con essa, alcuni villaggi. Intere comunità sono state costrette a spostarsi. Il fenomeno sta colpendo diversi stati insulari dell’Oceano Pacifico. Tuvalu, le isole Kiribati, le Fiji, le Samoa, le Hawaii e le Marshall, tra le altre, sembrano avere destino comune. Diversi milioni di persone dovranno essere evacuate, con tutte le conseguenze politiche e sociali del caso. Molti Paesi si preparano ad accogliere i vicini che presto resteranno senza terra, come Panama, l’Australia e la Nuova Zelanda.

In questo dossier riporteremo una serie di casi per mostrare cosa accadrà, nei prossimi anni, a diversi stati insulari e quali questioni bisognerà affrontare.

*Foto da Shutterstock

Le isole che potrebbero scomparire

A partire dall’edizione 2010, Lonely Planet consiglia ai viaggiatori intenzionati a visitare Tuvalu di affrettarsi: potrebbe sparire da un momento all’altro, divorata dal mare. Lo Stato, tra le Hawaii e l’Australia, è formato da quattro isole coralline e cinque atolli; ha un territorio di 26 km² ed è abitato da 11mila persone. Nel suo Sesto Rapporto, l’Ipcc (Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico) ha riportato che entro il 2050 il 50% della capitale Funafuti sarà sommerso da inondazioni quotidiane. Se non si interverrà con azioni efficaci contro i cambiamenti climatici, entro il 2100 il 95% del territorio non vedrà più la luce.

Sessanta sono gli anni che, secondo gli studiosi, restano alle Kiribati, nel Pacifico: nel frattempo i 110 mila abitanti dovranno trovare un posto dove andare. Anche le Maldive, nell’Oceano Indiano, corrono il rischio di perdere la propria superficie entro il 2050. A detta degli studiosi, è certo che non vedranno il nuovo secolo. La situazione potrebbe degenerare anche per le Figi, le Hawaii, le Samoa, le Marshall: se non riusciremo a limitare il riscaldamento globale a 1,5°C rispetto all’epoca preindustriale, i prossimi ottant’anni potrebbero vedere la scomparsa di un numero consistente di isole. Sempre secondo l’Ipcc, con un eventuale peggioramento della crisi climatica l’innalzamento della temperatura media globale sarà tra i 3,6° e i 4,4°C: in questo caso, circa 10 milioni di persone non avranno più un posto dove stare.

Ricollocazioni climatiche e diritti umani

La prospettiva della scomparsa di interi territori pone una serie di questioni. In Ruanda, la popolazione delle isole rurali del lago Rweru ha subìto una delle prime ricollocazioni. Intervistati da un gruppo di ricerca della Columbia Climate School, quasi tutti gli abitanti hanno dichiarato di aver accettato di buon grado il trasferimento: il nuovo villaggio è meno isolato e possono godere di maggiori servizi come trasporti, elettricità, assistenza sanitaria e scuola. Ma ci sono una serie di nodi irrisolti: la popolazione, dedita a pesca e agricoltura, adesso che è nell’entroterra non può più pescare; il nuovo territorio è caldo e secco: non possono coltivare. Ci sono poi di problemi nell’accesso al credito, nell’occupazione e nella conversione dei titoli fondiari.

In generale, gli spostamenti comporteranno stravolgimenti sociali e potrebbero determinare fenomeni digentrificazione climatica, ovvero la tendenza delle persone agiate a spostarsi nelle aree meno colpite dal cambiamento climatico, determinando la marginalizzazione o la progressiva espulsione dei residenti storici più poveri, come sta accadendo a Miami, in Florida. Qui infatti la ricca popolazione costiera si è spostata nell’entroterra, dove abitavano le fasce più povere, acquistando case e facendo lievitare i prezzi, creando il rischio concreto di espulsione dei residenti storici. Gli spostamenti comportano anche un problema anagrafico. Mentre i più giovani si trasferiranno, a restare saranno i più poveri, i più anziani. Le città di destinazione vedranno l’incremento della popolazione, e con essa della forza lavoro; i territori in via di abbandono, invece, vedranno un progressivo invecchiamento dei propri abitanti e la scomparsa di chi si potrà occupare di servizi essenziali, come gli operatori sanitari.

In molti casi, anche le popolazioni consapevoli della necessità di spostarsi, lo fanno con riluttanza. È quello che accade a Lagos, in Nigeria. Uno studio su 350 residenti dell’area costiera ha mostrato che sono intenzionati a trasferirsi, ma nell’entroterra: trasferirsi per necessità, ma senza lasciare la propria città.

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