L’Artico è sempre più centrale nella geopolitica globale e lo è per più ragioni. Prima tra tutti la questione collegata alle risorse minerarie. La Regione presenta enormi giacimenti di petrolio e gas naturale. Secondo quanto riportato da Osservatorio Artico, in Alaska, ad esempio, diverse compagnie petrolifere lavorano con gruppi indigeni per trivellare ed esportare milioni di barili di petrolio ogni anno. Il versante nord dell’Alaska contiene il 6% dei maggiori giacimenti petroliferi degli Stati uniti ed è uno dei 100 maggiori giacimenti di gas naturali al mondo.
Diversi ingegneri stimano che i depositi di petrolio e gas presenti nell’Artico costituiscano il 13% delle risorse di gas naturale non ancora scoperte. L’Artico è anche ricco di moltissimi minerali molto ambiti, come il nichel, il rame, pietre preziose ed altri elementi fondamentali per la produzione di batterie, magneti e scanner. A questo si aggiunge la questione economica, legata alle rotte marittime commerciali che sempre più transitano (o intendono transitare) nell’area e di cui abbiamo parlato in un precedente dossier.
*In copertina e di seguito Foto di Torsten Dederichs su Unsplash
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La ri-militarizzazione russa
La militarizzazione dell’Arctic Zone of the Russian Federation (Azrf) è avanzata negli ultimi 15 anni, attraverso il dispiegamento di nuove capacità e sistemi, il varo di riforme amministrative e militari, l’aggiornamento di infrastrutture già esistenti e la costruzione di nuove. Come rilevato dai ricercatori di Mondointernazionale, dalla fine del 2007, “la Russia ha costantemente aumentato e potenziato le proprie capacità militari nell’Artico”. Nel 2008 ha ripreso per la prima volta il pattugliamento da parte di bombardieri strategici e sottomarini nucleari (SSN) vicino al confine con i Paesi artici della Nato e dal 2014 sono state riaperte 14 basi ex-sovietiche, che hanno l’obiettivo di fornire supporto logistico alla flotta di SSBN russi nella penisola di Kola, lembo di terra proteso sul Mare di Barents, dove sono stati costruiti sistemi di difesa missilistica (sistemi antiaerei S-300, S-400, missili a medio raggio P-800 Onik e Kalibr, e missili antinave K-300 Bastion-P) e siti radar Rezonans-N per l’allerta rapida. Inoltre, alcune basi aeree sono state potenziate, tra il 2015 e il 2019, per supportare aerei da trasporto IL-76, intercettori pesanti come il Mig-31 e il Su-34, oltre a ricevere ulteriori sistemi antiaerei Pantsir-SA (a corto raggio), S-400 (a lungo raggio), e piattaforme Bastion-P per missili antinave. Potenziate anche diverse basi navali, come quella di Gadzhiyevo, rinforzata da bunker e difese e la base navale di Kandalaska, divenuta nel 2016 uno dei punti logistici principali per le basi aeree artiche. Lungo la parte occidentale della Azrf, è stato inoltre costruito un sistema di sensori idro-acustici ed è stata implementata la sorveglianza marittima.
Secondo Osservatorio Russia, oltre al rafforzamento delle capacità marittime e aeree, Mosca ha investito molto anche nel tentativo di sviluppare un vantaggio strategico nell’utilizzo dello spettro elettromagnetico: la Penisola di Kola, vanta infatti numerose stazioni radar, tra cui spicca l’Olenegorsk-1, pilastro del sistema di allarme precoce contro gli attacchi di missili balistici. Nella Regione è presente anche il Murmansk-BN, un sistema ad onde corte progettato per “disturbare” le comunicazioni a lungo raggio trasmesse da unità navali e velivoli militari.
La principale forza militare nella AZFR è la Flotta del Nord, impegnata nella difesa territoriale della Regione sia tramite assetti convenzionali (navi, missili di crociera, difese aeree, e droni), che con deterrente nucleare strategico. Anche la flotta è localizzata nella penisola di Kola, dove sono presenti numerose basi navali e il comando centrale ha sede a Severomorsk.
Le forze di terra presenti nell’Artico sono da complemento alla missione della Flotta del Nord e, insieme alla marina, formano il cosiddetto Strategic Bastion, una “fortezza” pluri-stratificata composta da difese aeree, missilistiche, navali e nucleari. Un fattore importante che spinge la Russia a porre sempre più attenzione all’Artico è quello dello sfruttamento delle risorse minerarie. L’Azrf costituisce infatti circa il 10% del Pil russo, e almeno il 22% sul totale delle sue esportazioni, principalmente petrolio greggio, gas e minerali preziosi . Si stima che nell’area compresa fra il mare di Barents e quello di Laptev siano presenti circa 73 triliardi di barili di petrolio greggio e circa 10 triliardi di tonnellate di idrocarburi. Altro aspetto è quello legato alle rotte commerciali artiche, di cui abbiamo scritto in precedente dossier.
Secondo molti, comunque, il crescente impegno nella regione Artica non è da configurarsi come una nuova militarizzazione, ma si tratta di una “ri-militarizzazione”. Già l’Unione Sovietica, infatti, possedeva una forza permanente, navale, terrestre e nucleare schierata nell’Artico. E anzi, anche dopo diversi anni di modernizzazione, gli schieramenti sono inferiori agli equivalenti sovietici. Indubbio è, comunque, l’interesse crescente per la Regione. Nell’aprile 2022, il ministro della Difesa russo Sergei Shoigu, durante una conferenza stampa sulle operazioni in corso in Ucraina, ha elencato gli investimenti militari nella Penisola di Kola e per la Flotta del Nord come una delle priorità chiave per Mosca.
L'avanzata Usa
I primi giorni del 2025 il nuovo presidente Usa Donald Trump ha manifestato il proprio interesse alla Groenlandia, territorio danese autonomo situato tra l’oceano Atlantico del Nord e l’oceano Artico. Le pretese annessionistiche non sono una novità ed erano parte delle sue ‘mire strategiche’ già nel primo mandato. Nel 2019, infatti, il tycoon tentò inutilmente di convincere la Danimarca a cedergli l’isola più grande del Pianeta. Cosa avvenuta a più riprese nel tempo. Come riportato da PagineEsteri, già nel 1867, dopo aver acquistato l’Alaska dall’impero russo, il segretario di stato William H. Seward tentò di convincere il regno scandinavo a cedere la Groenlandia. E ancora nel 1940, dopo che la Germania nazista invase la Danimarca, le truppe statunitensi occuparono l’Isola installandovi numerose basi militari e stazioni radar, parte delle quali sopravvivono ancora.
Dopo la fine del conflitto, Washington ha infatti continuato a gestire una grande base aerea denominata Thule, da poco ribattezzata Pituffik in onore alle popolazioni indigene Inuit che abitano il territorio. Dal 1951, inoltre, un accordo con Copenaghen garantisce agli Stati Uniti un ruolo fondamentale nella “difesa” della Groenlandia in caso di attacco. Accordo che concede di fatto a Washington il diritto di mantenere basi militari.
Ma il solo controllo militare del territorio groenlandese non basta a Trump. Per il momento la Danimarca ha risposto duramente alle minacce di Washington ed ha stanziato una cifra consistente per rafforzare la sicurezza dell’isola, decidendo l’invio in zona di alcune navi da guerra, ma non ha comunque escluso una maggiore collaborazione militare con gli Stati Uniti. Recentemente il Ministro della Difesa danese, Troels Lund Poulsen, aveva riconosciuto di non aver investito adeguatamente nella difesa della Groenlandia, a causa della vastità e dell’ostilità del territorio, abitato da una popolazione ridotta (56mila gli abitanti). Il governo danese ha annunciato un piano per potenziare la presenza militare nella Regione, che include anche nuovi investimenti in infrastrutture radar e capacità navali.
La Groenlandia fa gola a molti per vari motivi, primo tra tutti i vasti giacimenti di idrocarburi e di materie prime, il cui sfruttamento è stato finora minimo. Quando, nel 2021, si è affermato il partito ecologista Inuit Ataqatigiit, il governo locale ha quasi smesso di concedere licenze per nuove esplorazioni. C’è però da capire se la situazione resterà statica. Nell’aprile 2025 è prevista una nuova tornata elettorale e con il progressivo scioglimento dei ghiacci lo sfruttamento minerario potrebbe diventare meno oneroso. Secondo le rilevazioni di PagineEsteri “se gli Stati Uniti riuscissero a mettere le mani sul grosso delle risorse groenlandesi (la qual cosa suscita già le preoccupazioni della Danimarca e dell’intera Unione Europea) Washington ridurrebbe fortemente lo scarto rispetto alla Repubblica Popolare Cinese, che attualmente controlla più del 60% del mercato delle cosiddette “terre rare” e recentemente ha imposto il divieto di esportazione di alcuni di essi”.
Oltre alla questione mineraria c’è poi quella commerciale e strategica, legata alle già citate rotte artiche. Per concludere, quindi, “se finora gli Stati Uniti hanno dovuto subire, nella regione artica, la preponderanza e l’iniziativa russa, l’ingresso nell’Alleanza Atlantica di Finlandia e Svezia ha rafforzato lo schieramento di Washington nell’area. Ma le minacce e le mire annessionistiche di Trump nei confronti di Groenlandia e Canada dimostrano che gli Stati Uniti vogliono un controllo totale di tutti i territori che si affacciano sul polo, evidenziando una vera e propria “ossessione artica” di Washington”.