di Rita Cantalino
Nei contesti dove gli effetti del cambiamento climatico incontrano una governance di partenza debole la possibilità di conflitti armati è molto elevata. Accade ad esempio nel Sahel, dove vive meno del 7% della popolazione africana ma c’è quasi il 16% delle morti totali legate ai conflitti. In zone di transizione come questa, la probabilità di un conflitto è più alta del 27% rispetto ai contesti non frontalieri, per una serie di ragioni che illustreremo in questo approfondimento.
I confini etnici esistenti sono spesso origine di conflitti, molto di più delle situazioni in cui, invece, i gruppi etnici vivono al di là dei moderni confini statali. Il cambiamento climatico da solo, infatti, non è mai generativo di conflitti, si comporta piuttosto come un moltiplicatore di minacce: amplifica quelli già esistenti, visto che aumenta il grado di concorrenza e di tensione per le risorse scarse. La situazione è sempre relativa alle condizioni di partenza dei singoli paesi o aree: la storia dei conflitti e la presenza o meno di resilienza e debolezza delle istituzioni sono fattori chiave. Per tanto tempo, ad esempio, si è collegata l’ascesa di Boko Haram e dei gruppi estremisti nel nord-est della Nigeria al restringimento del lago Ciad, ma recenti studi hanno mostrato che a essere incidente nel conflitto sono stati di più fattori politici e cattiva gestione delle acque. In generale, i conflitti armati si acuiscono quando, a causa dei disastri naturali, si sovvertono le dinamiche di potere tra le parti in conflitto: situazioni di fragilità possono facilitare il reclutamento di nuovi combattenti, anche a causa delle diminuzioni di reddito.
Dossier/ Il quadro del rischio ecologico globale (1)
*Foto di Michel Isamuna su Unsplash, di seguito Foto di Emma Van Sant su Unsplash