di Rita Cantalino
L’ultimo capitolo dell’approfondimento sulle minacce ecologiche globali è dedicato all’area più esposta al mondo: l’Africa subsahariana, che è esposta a diversi elementi di criticità il cui combinato disposto può essere devastante. Secondo le stime dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO), già adesso, il 26% della popolazione è in una situazione di denutrizione o grave insicurezza alimentare, mentre il 40,6% è in moderata insicurezza. Le prospettive di lungo termine sono inquietanti. L’accesso limitato e a tratti inesistente al cibo è un fattore di per sé limitante dello sviluppo individuale e collettivo, che colpisce soprattutto la popolazione più giovane.
Gli studi mostrano che una cattiva alimentazione, combinata alla mancanza di adeguati stimoli durante l’infanzia, può portare a una perdita del QI fino a 15 punti. I bambini che subiscono arresto della crescita, da adulti, guadagnano anche il 25% in meno dei loro coetanei. Stando alle previsioni, nei prossimi venticinque anni l’Africa subsahariana subirà un boom demografico di diverse misure superiore a quello della popolazione globale. L’assenza o l’arretratezza delle infrastrutture e la mancanza di una governance dei processi faranno il resto.
Dossier/ Il quadro del rischio ecologico globale (1)
Dossier/ Il quadro del rischio ecologico globale (2)
*In copertina Foto di Sandy Ravaloniaina su Unsplash, di seguito Foto di Matt Palmer su Unsplash

La domanda alimentare
Gran parte della forza lavoro africana è impegnata in agricoltura; nonostante questo, il continente è un grande importatore ed ha i più alti livelli di insicurezza alimentare al mondo. In realtà il deficit commerciale agricolo è dovuto a pochi paesi: i deficit di Angola e Nigeria superano da soli quello dell’intera area. In altre parole, senza questi ultimi, la regione avrebbe addirittura un surplus. I paesi a medio reddito, invece, hanno un surplus di circa 13 miliardi di dollari. Secondo i calcoli dei ricercatori dell’Institute for Economics and Peace, le importazioni agricole della regione valgono 46,4 miliardi di dollari; le esportazioni invece 52,2 miliardi. La maggior parte di queste ultime sono di prodotti tropicali da reddito come caffè, cacao, tè e cotone; si importano invece soprattutto grano, riso e soia. Soltanto il 20% del commercio alimentare è intra-africano.
La dipendenza alimentare è molto meno elevata di quanto si pensi: si coltiva gran parte delle calorie che vengono consumate, in particolar modo i cereali, che sono il 50% della dieta mondiale e il 70% di quella della regione. L’area ne coltiva l’80,8% del totale che consuma. Il tasso è piuttosto elevato: la media globale è dell’85,8%. Aree come il Nord America coprono il 97,5% del proprio fabbisogno, mentre per esempio in Medio Oriente e Nord Africa si arriva appena al 43%.
In Africa subsahariana la media dell’80,6 è costruita da valori molto variabili: dal 97,6% dello Zambia allo 0,2 dell’isola Mauritius. Visto che verdura, frutta e alimenti altamente proteici come la carne sono importati, per migliorare la risposta al fabbisogno alimentare si può intervenire quasi esclusivamente sulla produzione cerealicola. Anche perché l’area è già sottoposta a molte minacce ecologiche, e lo sviluppo di settori come quello dei prodotti animali ha costi ambientali più elevati.
Prospettive alimentari e scarsità idrica
Le prospettive alimentari sembrano destinate a peggiorare se rapportate alle previsioni demografiche. Entro il 2050% la popolazione globale crescerà di appena il 10%, quella subsahariana del 50%, passando da 1,2 miliardi di persone a 2,1 miliardi. L’area avrebbe tutti gli anticorpi per proteggersi: è ricca di terre arabili e risorse idriche inutilizzate o sottoutilizzate. Sono 200 i milioni di ettari adatti all’agricoltura non utilizzati (il 60% del totale globale); 35 milioni quelli con un potenziale di irrigazione non sfruttato. Trovare una via ecologica di sviluppo del settore agricolo vorrebbe dire far crescere il volume di cibo prodotto e garantire all’area un relativo grado di indipendenza alimentare.
Significherebbe disinnescare gran parte delle minacce ecologiche, a partire dalle tensioni per l’accesso alle fonti idriche rinnovabili. La mancanza d’acqua è la minaccia più grave a livello globale ed entro la metà del secolo la situazione peggiorerà. L’Africa subsahariana, insieme ad Asia meridionale e America Latina, è tra le regioni più colpite. Solo il 2% delle risorse idriche rinnovabili disponibili nell’area è usato in agricoltura. Il rischio idrico è determinato dalla debolezza della governance e dallo stato delle infrastrutture, molto più che dagli impatti della crisi climatica in sé.