di Linda Maggiori
Componenti e pezzi di armamenti, proiettili, cannoni o interi blindati percorrono la supply chain fino ad arrivare agli utilizzatori finali, nei teatri dei conflitti, per armare stati, reprimere dissidenti e preparare nuove guerre. I trasferimenti di armamenti si effettuano spesso con gli stessi “mezzi” delle merci “civili”, utilizzando la stessa catena logistica, porti, ferrovie, aeroporti. Non solo i fornitori, anche la logistica è quindi dual use. Ma c’è chi si oppone, a partire da lavoratori e lavoratrici.
Qui i primi tre dossier:
Dossier/Le catene della guerra in Italia. I fornitori dell’Emilia Romagna (1)
Dossier/Le catene della guerra in Italia. I fornitori del Nord Est (2)
Dossier/ Le catene della guerra in Italia. I fornitori in Lombardia (3)
*In copertina una manifestazione a Trieste, foto del Tavolo della Pace Friuli Venezia Giulia. Di seguito foto scattata alla Manifestazione Contro la Guerra del 4.10.2024 a Roma davanti alla Piramide Cestia di Ostiense. Fonte: Bollettino Ferrovieri contro la Guerra Inserto del numero 83 di Cub Rail, dicembre 2024
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I porti
Il Porto di Genova è ormai famoso per l’eroica resistenza dei portuali (Calp), che nel maggio 2019 si rifiutarono di caricare sulla nave saudita Bahri Yanbu, due casse di armamenti destinati alle operazioni belliche dell’Arabia Saudita contro lo Yemen. Fu quello l’inizio di un movimento di portuali sempre più forte ed esteso che comprendeva i porti di Livorno, Salerno, Napoli. La legge 185/90 in realtà già vieterebbe non solo l’export ma anche il transito di armi verso paesi in guerra, eppure i porti d’Italia continuano ad essere percorsi da navi container che trasportano armi.
A fine 2023 un appello lanciato dai sindacati palestinesi, contro le navi della compagnia marittima israeliana Zim, ha suscitato grande solidarietà in tutto il mondo, con proteste in ogni porto dove era diretta. Anche la nave Katrine, che trasportava 150 tonnellate di RDX, un composto utilizzato negli esplosivi e diretto ad Israele, fu rifiutata in molti porti. Purtroppo però il traffico di armamenti continua quotidianamente, spesso all’insaputa degli stessi lavoratori. La nave ro-ro «Severine» (bandiera maltese) a inizio febbraio 2025 ha caricato una decina di mezzi militari pesanti nel porto di Bari. La Severine era già stata segnalata anche ad Ortona, dove aveva fatto tappa per caricare i mezzi militari prodotti dalla Tekne, destinati probabilmente al conflitto in Ucraina. Anche il porto di Monfalcone (Go), sebbene non sia abilitato al movimento d’armi, ospita navi cargo piene di armi. Il 6 dicembre 2024 qui ha fatto tappa la Nave Capucine (gemella della Severine), caricando esplosivi.
Traffici di armi anche nei porti di Capodistria e di Trieste, sebbene il territorio libero di Trieste dovrebbe essere disarmato e neutrale sotto tutela ONU. Nel 2020 da questo porto sono partite anche le cosiddette “navi della vergogna”, le fregate Fremm costruite da Fincantieri e vendute all’Egitto, pochi anni dopo il brutale assassinio di Regeni. Caso sul quale recentemente è tornato l’ex premier Conte, dicendo però che non si pente.
La vita per chi vive vicino ai porti è sempre più insicura. Non solo per i traffici di armi. A La Spezia il mezzo militare anfibio qatariota “Al Fulk” costruito da Fincantieri e venduto al Qatar, ha stazionato nel porto di La Spezia col radar acceso per giorni, suscitando le proteste dell’associazione Murati Vivi, preoccupata per l’inquinamento elettromagnetico e per la salute degli abitanti. Gli accordi tra Fincantieri, Leonardo, e marina militare Qatariota, prevedono infatti dotazione di mezzi anfibi e navali, radar e supporto logistico militare al potente emirato (da cui importiamo GNL). Tra i porti frequentati dai carichi di armi troviamo anche Livorno, strategico per la vicinanza alla base militare di Camp Darby. Qui è nato Gap, Gruppo Autonomo Portuali, in rete con il Calp di Genova.
I treni
L’accordo fra Rfi (Rete ferroviaria italiana) e Leonardo sulla Military mobility ha l’obiettivo di adeguare la rete ferroviaria al transito dei convogli militari, affinché siano garantiti “spostamenti anche con breve preavviso e su larga scala”. Se pensiamo ai proverbiali ritardi dei treni italiani questa efficienza militare fa sorridere. In realtà si inserisce in un disegno di depotenziamento delle linee secondarie, utili ai pendolari, a favore di nuove linee ad alta velocità. L’operazione fa parte di un’ampia iniziativa europea (Action Plan 2018) rafforzata dopo la guerra in Ucraina, con l’Action Plan on Military Mobility 2.0, (gennaio 2024), che prevede 38 ulteriori progetti di mobilità militare da aggiungersi a quelli già avviati per il trasporto di truppe sulla TEN-T (reti transeuropee dei trasporti, utili al trasporto di merci e al militare).
Comprende nove corridoi, tra cui anche il corridoio Mediterraneo e quindi il Tav Lione-Torino, che, non a caso ha una utilità quasi esclusivamente militare. Le restrizioni di peso sulle strade, per i grandi veicoli militari, tendono a favorire l’uso della ferrovia o delle vie fluviali. Ma se le sagome dei tunnel ferroviari sono insufficienti per carichi sovradimensionati, allora si procede con adeguamento o costruzione di nuove linee (come per la Tav e simili). Attualmente quindi, la Commissione sostiene 95 progetti di mobilità militare con 1,74 miliardi di euro, da incrementare negli anni futuri. A febbraio 2025 la Corte dei conti europea si è però lamentata: “L’obiettivo di spostare personale, equipaggiamento e attrezzature militari in modo rapido e scorrevole nell’UE e al di fuori dell’UE, anche con breve preavviso e su larga scala, non è stato ancora raggiunto, a causa di strozzature sul percorso” ha affermato Marek Opioła, invitando quindi a velocizzare la “burocrazia”, aggiungendo: “Per alleviare le strozzature della mobilità militare, l’UE può sfruttare le potenzialità dei fondi UE attualmente destinati al trasporto civile (!)”.
Quindi usare i soldi destinati al trasporto civile per incrementare quello militare. “Dalla liberalizzazione ferroviaria sono stati persi oltre un milione di posti di lavoro e le normative sono andate via via peggiorando” commentano i Ferrovieri contro le guerre: “Sempre più spesso vengono usati lavoratori civili, treni e linee civili in movimentazione e circolazione di armi, milizie, munizioni, bombe e mezzi militari. La linea è sovraccaricata dai “treni bomba”, a questo si aggiunge la scarsa sicurezza attuale e continui incidenti in ferrovia. A differenza dei portuali, che hanno spesso la possibilità di sapere con congruo anticipo la tipologia di carico delle navi che devono attraccare e possono dichiarare in tali giornate scioperi regolari, che consentano l’astensione dal lavoro senza rischio di sanzioni, i macchinisti invece non vengono informati del tipo di carico e si trovano di fronte ai mezzi militari solo all’inizio del turno. Questo rende impossibile coprire l’azione di protesta con una proclamazione di sciopero. Per questo chiediamo, insieme ai portuali e ai lavoratori della logistica, che sia introdotta una normativa che consenta l’obiezione di coscienza sui posti di lavoro”.