Dossier/ Le nuove tecnologie e la Mediazione di Pace

Le tecnologie digitali hanno sempre svolto un ruolo chiave nella sicurezza e nella guerra, ma oltre a essere una fonte di concorrenza e strategiche per il potere geopolitico, hanno anche il potenziale per contribuire a una pace più equa, efficace e quindi sostenibile. Da questo concetto parte il rapporto “Digital Technology And Inclusivity In Peace Mediation” redatto dall’Agenzia per il Peacebuilding e presentato a Bologna durante il sesto forum dedicato al Peacebuilding il 16 e 17 maggio 2024.

Il documento, di cui si riprendono alcuni spunti in questo dossier, si propone di riflettere sul potenziale per migliorare l’inclusione, soprattutto delle donne, nella mediazione della pace attraverso l’uso delle tecnologie digitali e, allo stesso tempo, avvertire sui rischi derivanti dal loro uso inappropriato in contesti di conflitto.

*In copertina foto di Buffik da Pixabay, di seguito foto di NASA su Unsplash

La tecnologia aiuta ad includere le donne?

L’uso delle tecnologie digitali nella mediazione della pace potrebbe, secondo il rapporto, sbloccare un maggiore coinvolgimento delle donne, dando loro il potere di informare i processi di pace fornendo opportunità e risorse per la partecipazione. Un numero crescente di ricerche e studi di casi dimostra che un ruolo maggiore delle donne nella prevenzione e risoluzione dei conflitti (sia nei ruoli negoziali ufficiali che attraverso interventi dal basso) può migliorare i risultati prima, durante e dopo il conflitto.  Ad esempio, la partecipazione delle donne aumenta del 20% la probabilità che un accordo di pace duri almeno due anni e del 35% un accordo di pace che duri quindici anni.

Nonostante questo la partecipazione delle donne ai processi formali di pace rimane ancora molto bassa. Nel 2022, solo il 16% dei negoziatori o delegati nei processi di pace guidati o co-guidati dalle Nazioni Unite erano donne, mentre dei 18 accordi di pace raggiunti in quell’anno, solo uno è stato firmato o testimoniato da un rappresentante di un gruppo di donne. Nessuna donna è stata inclusa nelle squadre negoziali per i conflitti in Etiopia, Myanmar, Balcani, Sudan o Yemen. Solo in Colombia le donne si sono avvicinate alla parità sia nel governo che nei gruppi negoziali dei ribelli.

Secondo quanti rilevato da AP le tecnologie digitali si dimostrano preziose nel “creare nuove pratiche e standard nei processi di mediazione e nell’emancipazione delle donne superando gli ostacoli socio-politici e strutturali e offrendo opportunità per un maggiore coinvolgimento nei processi di mediazione della pace”. L’inclusione digitale, infatti, è in grado di superare barriere concrete alla partecipazione, come la distanza geografica e l’impossibilità di spostarsi, i vincoli temporali, l’accessibilità linguistica, la sicurezza e il benessere personale, l’esclusione dai processi formali, l’accesso limitato alle informazioni e il basso alfabetismo.

 Le soluzioni digitali possono infatti integrare e massimizzare quelle in presenza e migliorare il processo di mediazione complessivo consentendo il dialogo, facilitando la collaborazione e garantendo la partecipazione di collegi elettorali e gruppi femminili e possono creare spazi sicuri, ad esempio sotto forma di spazi online anonimi, o consentire un “coinvolgimento asincrono”, in modo che le partecipanti donne abbiano l’opportunità di svolgere i propri compiti e tornare alla conversazione secondo i propri tempi e preferenze. Tuttavia, la cieca speranza che la digitalizzazione promuovesse direttamente l’uguaglianza di genere è stata soddisfatta dalla triste realtà che i meccanismi di emarginazione vengono spesso riprodotti nella sfera digitale.

Ma le tecnologie digitali possono anche perpetuare l’esclusione che intendono affrontare. Gli spazi online spesso rischiano di replicare e addirittura amplificare le strutture, le pratiche e la cultura della società patriarcale e altrettanto spesso non sono nemmeno sicuri, a causa della loro progettazione o utilizzo. Inoltre, anche se coinvolgendo le donne negli spazi digitali il processo potrebbe affrontare con successo le sfide pratiche per l’inclusione come la mobilità, le risorse, la sicurezza o i limiti fisici del numero di persone che possono stare in una stanza, la partecipazione digitale non consente alle donne di avere un ruolo attivo. In un certo senso, quindi, l’inclusione digitale tratta i sintomi dell’emarginazione delle donne nella mediazione della pace senza affrontarne le cause profonde, potenzialmente ostacolando o almeno rallentando un cambiamento strutturale più profondo. Inoltre, il divario digitale lungo le linee di genere rimane ancora una questione chiave.

L’accesso e la connettività a Internet continuano a rappresentare un grave problema per le donne, soprattutto nelle comunità rurali e segregate. Gli alti tassi di analfabetismo e la mancanza di alfabetizzazione digitale tra donne e ragazze, soprattutto in contesti colpiti da conflitti, rappresentano un’altra barriera persistente, mentre le norme patriarcali di genere impediscono a molte donne di accedere a Internet. Nel complesso, quindi, le donne incontrano ancora numerose barriere e rischi socio-politici, finanziari, tecnici e culturali che ostacolano un uso efficace e sicuro delle tecnologie digitali nella mediazione della pace. Per concludere, le tecnologie digitali possono effettivamente contribuire alla partecipazione e all’emancipazione delle donne che, a loro volta, possono rafforzare e legittimare i processi di mediazione della pace.

Il ruolo delle “tecnologie critiche”

Le cosiddette “tecnologie critiche” comprendono ad esempio l’intelligenza artificiale (AI), i semiconduttori, la tecnologia quantistica, la biotecnologia, la comunicazione 5G e 6G, la sicurezza informatica e la robotica. Queste tecnologie possiedono infatti effettive o potenziali applicazioni a duplice uso in ambito civile e militare e sono così pervasive che il controllo su di esse può conferire un enorme potere. La Strategia nazionale statunitense del 2022 prevede sezioni importanti dedicate all’alta tecnologia come fondamento del potere nazionale e strumento di competizione geopolitica. 

Anche l’Unione europea ha adottato ultimamente misure per garantire che la tecnologia “non venga utilizzata per indebolire o sfidare le norme liberali e venga invece sfruttata per una maggiore resilienza, ad esempio attraverso la creazione della piattaforma Tecnologie strategiche per l’Europa (Step), che mira a rafforzare la sovranità europea investendo 160miliardi di euro in industrie chiave”. Mentre negli anni ’90 gli studiosi avevano spesso dato per scontato che le tecnologie digitali come Internet e, più tardi, le piattaforme dei social media avrebbero intrinsecamente aiutato la diffusione dei diritti umani e delle norme liberali, ora la preoccupazione è che le stesse tecnologie siano impiegate come potenti strumenti di revisionismo geopolitico a livello globale e di controllo o addirittura oppressione all’interno degli Stati. 

Le tecnologie possono, infatti, essere utilizzate per diffondere disinformazione e incitamento all’odio, controllare oppositori e dissidenti e impegnarsi in forme più sofisticate di guerra informatica, dove la tecnologia diventa un’arma piuttosto che uno strumento per la pace. Tecnologia e innovazione sono i pilastri del potere geopolitico e quasi tutti i governi investono ampiamente in esse, mentre i leader autocratici di tutto il mondo, dopo un tentativo iniziale di limitarne l’uso, stanno ora sfruttando attivamente le tecnologie digitali per la coercizione e la repressione, dando origine a tecno-autocrazie. 

In questo contesto, la sicurezza informatica è stata elevata a una preoccupazione fondamentale per i settori della sicurezza e militare, mentre le minacce informatiche e gli attacchi informatici hanno già portato allo sviluppo di strategie dedicate. Preservare un vantaggio tecnologico è oggi considerato essenziale non solo per la sicurezza, ma anche per garantire che il suo sviluppo e il suo utilizzo siano in linea con democrazia e diritti umani.

Tags: