Il vertice Africa-Europa tra investimenti, occupazione e migrazione

Investimento, crescita, occupazione giovanile, ma anche migrazione.

Attorno a questi temi è ruotato il quinto vertice bilaterale tra i Paesi dell’Unione Africana e quelli dell’Unione Europea che si è svolto il 29 e 30 novembre ad Abidjan, in Costa D’Avorio. Al summit erano presenti i Capi di Stato e di governo dei Paesi dei due continenti.

Il vertice è arrivato dieci anni dopo quello di Lisbona, che sancì l’adozione della strategia comune Africa-Ue e che ha segnato la cooperazione internazionale dell’ultimo decennio.Quel piano consisteva in una serie di successivi piani triennali, rimasti per gran parte buoni propositi.

A quello del 2007 seguì il piano del triennio 2014-2017, deciso nel quarto vertice Ua-Ue di Bruxelles, che prevedeva l’impegno a investire in pace e sicurezza, in sviluppo umano e crescita sostenibile, in democrazia e diritti umani.

Progetti impegnativi, ma indispensabili, dato che Unione Africana ed Unione Europea rappresentano insieme 83 Paesi, in cui vivono 1,7 miliardi di persone.

“Nell’ultimo decennio – hanno scritto in una lettera congiunta il presidente della Commissione Europea  Jean-Claude Junckere MoussaFaki, il Presidente della Commissione dell’Unione Africana-  abbiamo rafforzato la cooperazione sulla sicurezza, la lotta contro il terrorismo, i partenariati sulla migrazione, la crescita economica, il commercio. Abbiamo lavorato per contrastare il cambiamento climatico e in molti altri settori. Dalla Somalia al Mali, passando per la Repubblica Centrafricana, le truppe europee stanno lavorando fianco a fianco con quelle africane per mantenere la pace, difendere lo Stato di diritto, combattere la pirateria e la tratta degli esseri umani. La nostra cooperazione ci rende più forti, più sicuri, e ci apporta maggiore prosperità”.

Una lettera che è servita come base di discussione e intesa. Ci sono forti interessi comuni, su questo concordano la totalità dei governi. Al centro è, soprattutto, la questione dei giovani. L’Europa rischia di diventare sempre più il “vecchio continente”, preparandosi ad essere da qui al 2030 la regione ‘più anziana’ del mondo.  Di contro,  l’Africa si conferma di gran lunga ‘più giovane’, con un’età media sotto i 20 anni. La popolazione nel 2050 sarà probabilmente raddoppiata e raggiungerà i 2,4 miliardi di persone, per arrivare a quadruplicare  fino a toccare i 4 miliardi entro il 2100.

Anche per questo ad Abidjan si è parlato di futuro. Secondo i presidenti delle due Unioni, infatti, “la nuova generazione di giovani avrà bisogno di 18 milioni di posti di lavoro all’anno, sostenibili e di qualità”.

Il Fondo fiduciario Ue-Africa ha già stanziato fondi per loro e per le donne nelle regioni del Sahel, del lago Ciad, del Corno d’Africa e dell’Africa settentrionale,per la  formazione professionale e della creazione di piccole e micro-imprese. La Banca europea per gli investimenti, inoltre, sta erogando ogni anno un finanziamento di 2 miliardi di euro.

Il documento uscito dall’incontro ha formulato una serie di priorità strategiche nei rapporti tra Europa e Africa nel periodo 2018-2022: dalla crescita alla creazione di posti di lavoro per i giovani, dagli investimenti nelle infrastrutture, alla lotta al cambiamento climatico.

L’Unione Europea ha poi riconfermato tutti i programmi di sostegno e cooperazione nelle aree che presentano maggiori criticità: Sahel, Corno d’Africa e Golfo di Guinea.

Prima del vertice politico si è svolto il business forum, con imprenditori dei due continenti. L’Unione Europea si presentava con un piano di investimenti da 44 miliardi di euro fino al 2020. Sono capitali privati che stima di muovere.

In Europa – per altro –  si parla di “piano Marshall” per l’Africa. Un piano che parte da un assioma: sel’Europa non ‘vuole in casa’ i milioni di giovani africani, figli dell’incremento demografico, serviranno almeno 15 milioni dinuovi posti di lavoro ogni anno.

Ma oggi in Africa ne vengono creati solo 3 milioni. Per dare un prima risposta a questo, dal forum è nata una piattaforma unica che consentirà a 135 giovani imprenditori con le loro startup dai due continenti di incrociare domanda e offerta e di interagire con governi e aziende di più grandi dimensioni. Una piccola cosa, certo, ma pur sempre una partenza.

Come sempre, non mancano le ombre, almeno se si prendono in considerazione i precedenti.  Il Trust Fund per l’Africa, per esempio, lanciato anni fa al termine di un vertice a Malta dell’Ue, mirava ad affrontare alla radice le cause delle migrazioni. Sul tavolo uno stanziamento di 3,2 miliardi di euro,  garantiti dal Fondo europeo per lo sviluppo e in piccola parte dagli Stati membri. Questi soldi dovevano servire a creare occupazione e a sostenere piccole e medie imprese, ma come rilevato da un paper dell’Ispi, i progetti approvati fino ad oggi (117 per un totale di quasi 2 miliardi di euro) sono stati soprattutto legati ad obiettivi “securitari”, come il controllo delle frontiere per la gestione del fenomeno migratorio. La questione è confermata dal coordinamento delle Ong italiane.

Chi investe in Africa

Nonostante tutte le difficoltà, il Continente africano dimostra di avere grandi motivi per attrarre gli investimenti esteri.

Per quanto quelli europei in Africa, la situazione è diversificata. Vediamo: secondo i dati forniti da network mondiale di servizi professionali di consulenzaErnst & Young gli investimenti inglesi nel 2016 sono crollati a causa dell’esito del Brexit, che ha spinto molti Paesi africani a rinegoziare i propri progetti con altri Stati europei. In questo contesto, la Francia ha aumentato il suo rank del 39,7% rispetto al 2015, diventando, così, il secondo investitore del continente.

Con un +50% la Svizzera occupa il settimo posto in classifica, centrando la propria attività di investimento in particolare nel settore delle costruzioni e dei trasporti. Al decimo posto troviamo l’Italia, che risale la classifica con un aumento degli investimenti del 25%. All’undicesimo posto la Germania, che  ha ridotto i fondi devoluti al continente del 50%.

 

Altri dati utili li troviamo sull’Africa Investment Index (AII), il rapporto redatto ogni anno dallasocietà di ricerca indipendente Quantum Global Research Lab, che si dedica all’analisi macroeconomica per supportare lo sviluppo di politiche innovative e investimenti sostenibili nei Paesi africani.

Lo AII quest’anno è stato realizzato sulla base di sei fattori economici e finanziari: la quota degli investimenti nazionali nel PIL, la quota della raccolta netta degli investimenti diretti esteri (IDE), la previsione del tasso di crescita del PIL, il tasso reale di interesse, il tasso di crescita dell’aggregato monetario, il differenziale di inflazione, il rapporto debito estero-PIL, le dimensioni della popolazione e la facilità di fare affari.

Da questa graduatoria emerge, che il Paese più attraente per investire in Africa è il Botswana. Dietro al Paese si posizionano poi Marocco, Egitto, Sudafrica e Zambia. Questi cinque Paesi sono riusciti ad attirare IDE per 13,6 miliardi di dollari.I dieci Paesi che occupano le ultime posizioni dell’indice in ordine decrescente sono Madagascar, Gambia, Guinea Equatoriale, Malawi, Liberia, Sierra Leone, Sud Sudan, Repubblica Centrafricana, Eritrea e Somalia.

Un altro indice, invece, l’Africa Attractiveness Index pubblicato ancora una volta da Ernst & Young, vede il Marocco come l’economia più attrattiva del continente per il 2017. Questa classifica è stilata sulla base di un insieme di criteri valutati a medio e a lungo termine, in particolare quest’ultima edizione valuta i progetti realizzati negli ambiti della governance, della diversificazione, delle infrastrutture, delle nuove opportunità e dello sviluppo umano.

Il Sudafrica e il Kenya sono a pari merito al il secondo posto, seguiti da Ghana, Tanzania, Uganda, Costa d’Avorio, Mauritius, Senegal, con il Botswana a chiudere top ten. I Paesi che, rispetto al 2016, sono retrocessi maggiormente sono invece l’Egitto, il Benin, l’Etiopia e la Tunisia.

Lo studio, inoltre, rivela che le grandi economie africane hanno attratto più investitori stranieri che locali, con il 58% del totale degli IDE concentrati principalmente in Sudafrica, Marocco, Egitto, Nigeria e Kenya.

Per quanto riguarda gli investimenti dal resto del mondo da tenere sotto osservazione è l’area Asia-Pacifico,  in continuo aumento per tutto il 2016. Oltre a quella cinese, anche la presenza del Giappone in è più che raddoppiata, con un incremento degli investimenti del 757%.

Al primo posto rimangono però gli Stati Uniti con 91 nuovi progetti nel 2016, di cui quasi un quarto dedicato al settore delle tecnologie e telecomunicazioni.

Un elemento che non si può tralasciare è poi  il rapporto tra le aziende che fanno investimenti in Africa e gli Emirati Arabi. Nel 2016 le imprese africane registrate a Dubai sono aumentate del 41%: se ne contano oltre 17mila. I legami tra l’emirato e il continente sono dimostrati anche dal flusso degli scambi commerciali, in particolare quelli che non hanno a che fare con gli idrocarburi sono esplosi di oltre il 700% negli ultimi dieci anni e valgono ad oggi 24 miliardi di dollari.

L’accordo sui flussi migratori

Dal vertice è nata una nuova Collaborazione tra Unione europea, Unione africana e Onu per proteggere i migranti lungo le rotte della tratta, con una attenzione particolare alla Libia e per accelerare (ed incrementare) i rientri volontari assistiti nei Paesi d’origine e le ricollocazioni dei richiedenti asilo.

I rimpatri, come sottolineato dal primo ministro italianoGentiloni, sono aumentati.  “L’Oim – ha citato – ha portato a termine quest’anno circa 13 mila rimpatri, un numero significativo. E negli ultimi giorni si è arrivati a una intesa con il governo libico e con alcuni dei governi africani da cui vengono i migranti perché l’Oim faccia almeno 4 voli settimanali di rimpatri”.

La neonata task force Ue-Ua-Onu è stata salutata con favore dal governo italiano, come segnale di ‘assunzione di una responsabilità congiunta’ sul tema della migrazione.

L’UE ha poi concesso il rifinanziamento di tutte le missioni di pace, secondo molti come contropartita per l’impegno dei Paesi dell’Africa sub-sahariana e del Nord Africa nel bloccare il flusso di migranti verso il continente europeo.

Dopo le recenti immagini della CNN sulle condizioni delle persone detenute in Libia e prima dell’incontro di Abidjan,  il presidente della Unione Africana MoussaFaki, aveva annunciato che la Commissione Africana dei Diritti dell’Uomo e dei Popolo (CACDHP) avvierà un’inchiesta su violenze a danno di migranti in paesi come la Libia.