a cura di Alice Pistolesi
L’Africa, con le sue risorse e la sua posizione in più punti strategica, fa gola anche agli Stati Uniti. La Superpotenza è però in netto svantaggio rispetto al gigante Cina (analizzato nel precedente dossier). Il volume annuale degli scambi tra la Cina e l’Africa è di circa 400 miliardi di dollari, quasi quattro volte più che tra Stati Uniti e Africa (circa 100 miliardi di dollari).
L’inarrestabile ascesa della Cina in Africa, infatti, potrebbe compromettere (e in qualche caso già la ha compromessa) la presenza statunitense nel continente africano, appropriandosi di risorse e conquistando la fiducia degli Stati del Continente nero attraverso la sua logica win-win.
Negli ultimi anni, gli Stati Uniti hanno perso molte posizioni così rapidamente che non c’è da stupirsi siano in procinto di prendere misure straordinarie per recuperarle.
Per contrastare la Cina, gli Stati Uniti stanno molto investendo nel settore militare. In questo dossier proviamo ad analizzare brevemente alcune delle relazioni tra le due aree del mondo.
Che l’Africa sia importante per tutte le Potenze è chiaro. Le visite di affari nel Continente sono infatti diventate d’obbligo per molti. Nel marzo 2018 Il segretario di Stato americano, Rex Tillerson, e il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, si sono addirittura incrociati per un giorno ad Addis Abeba durante i loro tour africani.
Con gli Stati Uniti si conclude il ciclo di dossier ‘La conquista dell’Africa’. Qui le precedenti uscite:
La conquista dell’Africa. L’avanzata russa (1)
La conquista dell’Africa. La rincorsa europea (2)
La conquista dell’Africa. I vecchi colonizzatori (3)
La conquista dell’Africa. Il gigante cinese (4)
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Militari Usa in Africa
I militari Usa sono sparsi in tutto il Continente africano. L’obiettivo ufficiale di questa presenza è la lotta al terrorismo, ma appare chiaro che essere presenti in Africa è importante, anche per gli Stati Uniti, per controllare posizioni strategiche (terrestri e marittime) dal punto di vista economico e commerciale.
Dopo il lancio con George W. Bush nel 2002 della Pan Sahel Initiative, la presenza militare statunitense in Africa è cresciuta notevolmente. Per questo nel 2008 è stato creato un comando apposito, l’Africom (vedi chi fa cosa). Da allora, il numero di paesi africani in cui esiste presenza o cooperazione con l’esercito americano è molto aumentato. Nel 2018 si parla di 53 i Paesi africani coinvolti.
Sono quindi circa 6mila i soldati delle truppe americane schierati in tutto il continente africano, mentre 1.300 sono le forze speciali. Le forze speciali Usa sono presenti in almeno otto Paesi africani. Con l’amministrazione di Barack Obama e con quella di Donald Trump l’impegno è aumentato.
I programmi delle operazioni in Africa sono gestiti da un’autorità del Pentagono conosciuta come Sezione 127e. Una delle più importanti, quanto sconosciute. Pare che la 127e operi in modo legittimo ma del tutto autonomo, tramite negoziati e accordi conclusi direttamente con i partner africani.
Sembra che la maggior parte delle truppe speciali si trovi in Libia e Somalia. Ma ce ne sono anche in Tunisia, Mauritania, Niger, Kenya, Camerun, Mali e probabilmente anche Ciad. Nella maggior parte dei casi i Navy Seal o i Berretti Verdi operano insieme ai militari africani, ma in altri casi intervengono autonomamente.
Commerci Usa-Africa
L’Africa è un partner commerciale non secondario per gli Stati Uniti. Dal 2005 gli Usa stanno aumentando le loro importazioni dall’Africa del 10% l’anno. Più del 70% delle importazioni negli Usa riguarda prodotti petroliferi, minerali e altre materie prime.
Per incentivare le altre tipologie di importazioni, quindi l’Agoa, (African Growth Opportunity Act, Atto di crescita e opportunità per l’Africa) il trattato che dal 2000 regola gli scambi americani e africani, ha stabilito che 6400 prodotti di 40 Paesi africani entreranno negli Usa con la regola del duty free. L’Agoa costituisce la base della politica commerciale degli Stati Uniti nel continente.
Gli investimenti diretti di Washington in Africa sono invece in fase calante: le esportazioni Usa nel continente sono state di 19 miliardi di dollari, mentre il commercio bilaterale è passato dai 100 miliardi del 2008 ai 39 miliardi di dollari nel 2017.
Nei rapporti commerciali tra le due aree è interessante citare il caso del Rwanda, analizzato da Osservatorio Diritti. Nel febbraio 2018 il Paese ha vietato l’importazione di scarpe e vestiti usati provenienti da Stati Uniti e Europa per proteggere le industrie tessili nazionali dalle “dirompenti politiche di dumping da parte dei commercianti americani”.
Il provvedimento entrerà in vigore dal gennaio 2019 in Rwanda, Uganda e Tanzania. Gli Usa esportano circa 124 milioni di dollari di vestiti usati nei tre paesi dell’Africa Orientale. Per questo stanno esercitando pressioni per bloccarne l’attuazione.
La decisione dei tre Paesi rappresenterebbe però una violazione delle misure previste dall’Agoa perchè in contrasto con due punti dell’atto: l’eliminazione di barriere commerciali con gli Usa e la regolamentazione degli scambi tra gli Stati Uniti e gli Stati africani firmatari dell’accordo commerciale.
Un centinaio di aziende americane dell’abbigliamento usato hanno risposto al provvedimento chiedendo la revisione delle agevolazioni commerciali per migliaia di prodotti africani, esportati negli Stati Uniti senza diritti doganali.
Per timore di questo tipo di ritorsioni il Kenya ha ceduto alle pressioni americane e dal momento che gli Usa sono il suo terzo partner commerciale, ha deciso di non bloccare l’importazione degli abiti usati.