Violenze, conflitti e disastri ambientali. Queste le cause che portano ad ingrossare ogni giorno le fila degli sfollati, ovvero quei civili che lasciano le proprie case per motivi simili a quelli dei profughi ma non attraversano un confine internazionalmente riconosciuto.
Avere dati certi sugli sfollati non è semplice, visto che moltissimi sfuggono alle statistiche. Ci sono però alcuni studi che danno una visione globale del fenomeno.
Uno di questi è il Global Report on Internal Displacement, (Il report globale sugli sfollati interni) pubblicato dal Centro di monitoraggio dei trasferimenti forzati interni (Idmc) e dal Consiglio norvegese dei rifugiati.
40 milioni
Secondo il rapporto alla fine del 2016 sul Pianeta c’erano in tutto 40,3 milioni di sfollati interni provocati da conflitti e violenza. Quasi due volte quelli dell’anno 2000. Su questo dato globale concorda anche l’UNHCR (Alto commissariato Onu per i rifugiati) con il Global Trends, il rapporto sui flussi migratori a livello mondiale, pubblicato ogni anno in occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato (20 giugno).
L’agenzia Onu parla infatti di 40,3 milioni di persone sfollate alla fine del 2016 (rispetto ai 40,8 milioni del 2015). Gli spostamenti forzati più significativi si sono verificati all’interno di Siria, Iraq e Colombia.
La Colombia (vedi focus 1) continua ad essere il Paese con il maggior numero al mondo di sfollati. Ne ha più della Siria (6,3 milioni), del Sudan (3,3 milioni), dell’Iraq (3 milioni).
Disastri naturali e guerre
Ma veniamo alle cause. I disastri naturali hanno messo in fuga un numero di persone tre volte superiore a quello dei conflitti e delle violenze: 24,2 milioni. Solo in Cina ci sono stati 7,4 milioni gli “sfollati cimatici”, nelle meno popolose Filippine quasi 6 milioni, mentre in India 2,4. Tre la cause ambientali principali ci sono le inondazioni.
Sei milioni e novecentomila sono invece le persone che hanno abbandonato la propria casa a causa di guerre e violenze nel 2016. Di queste, la percentuale maggiore, il 38%, si trova in Africa sub-sahariana. Nel solo 2016 la Repubblica Democratica del Congo (vedi approfondimento 2), con 922mila nuovi profughi causati dai violenti scontri, ha superato la Siria, (con 824mila persone), l’Iraq (con 659 mila), l’Afghanistan (con 653mila), la Nigeria (con 501mila) e lo Yemen (con 478mila). Un’altra crisi con grandi numeri è stata ed è quella della Repubblica Centroafricana.
Ma gli occhi sono puntati anche sull’America del Sud. Il 2016 ha prodotto 171mila sfollati colombiani, 23mila messicani, 6200 guatemaltechi. La situazione più allarmante è però quella di El Salvador: qui un mix di violenza, sparizioni forzate e stupri, ha costretto oltre 220mila persone a lasciare la propria casa.
Ignorati
Anche se i numeri sono ingenti l’attenzione globale verso gli sfollati non è alta.Nonostante lo sfollamento interno rappresenti spesso sia il punto d’inizio di molti viaggi senza ritorno e coinvolga milioni di persone non è un fenomeno che gode dell’attenzione globale. Gli sfollati spesso non godono di protezioni o riconoscimenti di status (vedi chi fa cosa) e è molto difficile ‘mappare’ dove e chi sono.
Nel febbraio 2018 UNICEF, UNHCR, OIM, Eurostat e OCSE hanno per questo lanciato un allarme: “le lacune nei dati su rifugiati, richiedenti asilo, migranti e le persone sfollate all’interno del proprio paese contribuiscono a mettere a rischio la vita e il benessere di milioni di bambini migranti in tutto il mondo”.
Il documento congiunto “Call to Action: Protecting Children on the Move Starts with Better Data” (Un appello: per proteggere i bambini migranti bisogna partire da dati migliori”) sottolinea come i dati statistici siano di fondamentale importanza per comprendere le tendenze delle migrazioni globali e sviluppare politiche per aiutare i gruppi vulnerabili, come i bambini.
Lo studio conferma infatti gravi allarmanti carenze nella disponibilità, affidabilità, tempestività e accessibilità dei dati statistici da parte degli Stati coinvolti.

Controtendenza Iraq?
Secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), per la prima volta da quando il sedicente Stato Islamico (IS) ha occupato ampie fette di territorio in Siria e Iraq nel 2014, il numero degli sfollati interni che sono tornati alle proprie case ha superato quelli ospitati nei campi sfollati del governo.
Sempre secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni alla fine di dicembre 2017, 3,2 milioni di sfollati interni erano tornati a casa, mentre 2,6 milioni di persone risultavano ancora ospitate nei campi per sfollati.
Questi dati si inseriscono nel momento in cui premier iracheno, Haidar al-Abadi, aveva proclamato la vittoria del Paese sul sedicente Stato Islamico. Il documento Oim, che analizza i movimenti di tutte le persone colpite dal conflitto in Iraq, ha preso in considerazione i casi di circa 2,1 milioni di sfollati e di più di 1,6 milioni di rimpatriati, in 3.583 luoghi situati nel territorio iracheno.
Il documento rivela che i danni alle infrastrutture e agli edifici residenziali sono diffusi in tutto il Paese. Le abitazioni di circa un terzo dei rimpatriati hanno subito danni significativi, mentre le case del 60% degli iracheni tornati nel proprio territorio di origine sono state danneggiate in forma lieve.
Emergenza Congo
Il Paese che nel 2016 ha avuto il maggior numero di sfollati è la Repubblica Democratica del Congo. Secondo un dossier del Centro di monitoraggio dei trasferimenti forzati interni (Idmc) e dal Consiglio norvegese dei rifugiati (Nrc) nel 2016 sono stati 922mila i nuovi sfollati a causa dei diversi fronti di conflitto interni.
Per i conflitti in corso milioni di persone in Congo devono affrontare insicurezza alimentare, malnutrizione ed epidemie: si stima infatti che siano almeno 7 milioni di persone abbiano bisogno di aiuto.
La Repubblica democratica del Congo è uno dei Paesi più poveri al mondo, al 176° posto su 188 per indice di sviluppo umano. Qui 1 bambino su 10 muore prima di aver raggiunto i 5 anni. Inoltre la corruzione è endemica: il Paese è al 156° posto secondo il rapporto di Transparency International del 2016.
La crisi alimentare e umanitaria del Congo è aggravata dai conflitti che si verificano anche per accaparrarsi la grande quantità di risorse minerarie e naturali di cui il Paese dispone: oro, rame, diamanti e poi coltan, cobalto, tantalio, tungsteno e stagno (fondamentali per l’industria elettronica).