Palude egiziana

di Andrea Tomasi
L’Egitto ormai rischia di diventare una “palude”: sabbie mobili, acque stagnanti, zanzare e “animali pericolosi”. E nella palude ci è finita pure l’Italia. Le violazioni dei diritti umani fondamentali in Egitto sono sistematiche ed impunite. «Verità e giustizia» non è solo uno slogan ma è un impegno civile di noi tutti. Con queste parole la Rete della Pace invita ad aderire alle due petizioni internazionali  contro le torture, le sparizioni, gli arresti arbitrari e l’uso del tribunale militare per i processi contro gli attivisti della società civile e sindacati in Egitto. Tutto questo accade nel cuore dell’estate, dopo mesi dall’omicidio di Giulio Regeni (nella foto), dottorando italiano dell’Università di Cambridge, rapito il 25 gennaio 2016, giorno del quinto anniversario delle proteste di piazza Tahrir (il suo corpo fu ritrovato il 3 febbraio, ma tuttora non è stata fatta luce sulle circostanze della sua morte, con il governo del Cairo, impegnato per mesi in evoluzioni da circo per dare una risposta minimamente plausibile). «Le condizioni della sua salma – si legge su Wikipedia – ritrovata vicino al Cairo in un fosso lungo l’autostrada Cairo-Alessandria, hanno evocato ipotesi di tortura eventualmente in connessione con i legami che Regeni aveva con il movimento sindacale che si oppone al governo del generale al-Sisi. Il 6 luglio il Parlamento italiano ha respinto, con 308 voti a favore e 290 contrari, un emendamento che avrebbe reintrodotto le forniture di pezzi di ricambio per i caccia F-16 egiziani nel «decreto missioni». Una misura assunta per punire la scarsa collaborazione della autorità investigative egiziane sul caso di Giulio Regeni. Come riporta Vita.it, Amnesty International Italia ha inviato una lettera al ministro degli Affari Esteri Paolo Gentiloni esprimendo «preoccupazione per la mancanza di significativi progressi nell’accertamento dei fatti e delle responsabilità per la sua tragica uccisione». Ma il caso Regeni è, appunto, un caso di tanti. La sezione italiana dell’associazione, impegnata a livello internazionale nella difesa dei diritti umani, parla di «contesto di violazione dei diritti umani» e di notevole peggioramento dello scenario egiziano. «Il ricorso alla tortura e alle sparizioni – scrive Vita – resta pratica comune mentre risulta in aumento la persecuzione ai danni di attivisti e difensori dei diritti umani». Amnesty sia appella alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura del 1984. L’articolo 30 prevede che, a fronte di una controversia, ogni Stato possa «promuovere, nell’ordine, un negoziato, un arbitrato internazionale e, infine, un ricorso unilaterale alla Corte internazionale di giustizia». L’appello è chiaramente all’Italia: si invita il governo a promuovere «l’adozione di una dichiarazione sulla situazione dei diritti umani in Egitto» nel Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite. Sullo sfondo c’è poi l’inerzia delle autorità europee: «l’accordo di associazione tra Unione europea ed Egitto prevede che il rispetto dei diritti umani sia parte integrante di quell’accordo».

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