Parigi 2024 senza tregua (olimpica)

di Miriam Rossi

Dallo scorso 26 luglio la fiamma olimpica è accesa su Parigi. La 33° edizione dei Giochi olimpici ha preso il via con una buona dose di polemiche su alcuni passaggi della cerimonia di inaugurazione, in primis per una presunta messa in scena dell’“Ultima cena” in chiave LGBT che tanto ha fatto infuriare gli ambienti cattolici e anche le destre italiane.

Molto meno sdegno ha suscitato l’assenza di una tregua olimpica per i principali conflitti armati che insanguinano il mondo: la complessità dello spettacolo e il business legato alle Olimpiadi non consentono di innalzare la bandiera della pace al di sopra di tutte le altre. D’altra parte neanche nel corso dei Giochi olimpici pre-moderni si concludevano i conflitti in corso: si tratta di una legenda “inventata”. Nell’antica Grecia in occasione delle Olimpiadi si mettevano da parte gli asti tra le poleis per consentire un buon svolgimento dell’evento, l’arrivo in sicurezza e il gareggiamento degli atleti. Nelle Olimpiadi moderne i Giochi vennero cancellati in occasioni delle guerre mondiali e solo nel 2000, sulla scorta dei valori olimpici della pace, dell’amicizia e della comprensione internazionale è stato istituito dalla Grecia e dal Comitato Olimpico Internazionale (CIO), sotto gli auspici delle Nazioni Unite, il Centro Internazionale della Tregua Olimpica. “Se riusciamo a mantenere la pace per 16 giorni, forse potremo mantenerla per sempre”: la speranza che le armi tacciano nei giorni delle Olimpiadi è dunque viva più che mai. Ma disattesa perché le preoccupazioni geopolitiche e anche militari offuscano però il pacifismo sportivo di Pierre de Coubertin.

Nessun cessate il fuoco provvisorio nella guerra in Ucraina o nelle operazioni in Medioriente, – e tantomeno in altri scacchieri geografici di scarso interesse per il grande pubblico, – ma solo l’applicazione di alcune decisione del CIO che cercano in qualche modo di superare lo stallo di combattimenti e violazioni dei diritti umani.

Numero uno: a Parigi atleti e atlete russe e bielorusse non potranno competere sotto la bandiera della propria patria. Una analoga decisione non tocca però gli israeliani, col paradosso inoltre che gli atleti palestinesi, che hanno un comitato olimpico e sono presenti a Parigi, sono però cittadini di un Paese non riconosciuto a livello internazionale.

Numero due: la politica è entrata ed entra a piene mani nella storia delle Olimpiadi. Dal susseguirsi di boicottaggi tra statunitensi e sovietici durante la guerra fredda (a Mosca nel 1980 e a Los Angeles nel 1984), nel 1992, con la guerra di disgregazione della ex Jugoslavia, gli atleti di Serbia e Montenegro vennero estromessi dalle Olimpiadi di Barcellona. Fu allora che venne introdotta la “bandiera neutrale”, sotto cui gli atleti serbi e montenegrini avrebbero potuto gareggiare. Come allora, anche oggi gli sportivi e le sportive di Russia e Bielorussia possono partecipare ai giochi sotto questa vessillo in quanto Partecipanti Olimpici Indipendenti che provengono da Paesi in cui comitati non sono stati riconosciuti dal Comitato Olimpico Internazionali per casi di doping, gravi violazioni dei diritti umani o questioni politiche.

Numero tre: la situazione appena descritta è ben diversa da quella degli atleti parte della squadra dei rifugiati, ovvero sportivi costretti a fuggire dal proprio Paese per motivi politici. A Parigi gareggiano sotto la bandiera olimpionica 37 atleti in dodici sport differenti: atletica, badminton, pugilato, canoa, ciclismo, judo, tiro a segno, nuoto, taekwondo, sollevamento pesi e lotta. La squadra più numerosa di sempre: alle Olimpiadi di Rio del 2016, le prime in cui i rifugiati furono ammessi, la squadra era composta da 10 atleti; a Tokyo nel 2021 erano già diventati 29.

Numero quattro: sono note le azioni di spontanea protesta politica degli atleti, specialmente a seguito della massiccia mediatizzazione delle gare olimpiche, a cui il CIO non riesce e/o non vuole opporsi, data l’estemporaneità dei gesti. Le cerimonie di premiazione offrono un palcoscenico perfetto per esprimere dissenso o porre all’attenzione dell’opinione pubblica internazionale temi di pressante attualità: ad esempio nelle Olimpiadi del 1968 di Città del Messico resteranno nella storia il pugno nero alzato in aria da Tommie Smith e John Carlos, campioni statunitensi dei 200 metri, fautori della battaglia dei diritti civili degli afroamericani in America o lo sguardo distolto dalla bandiera sovietica della ginnasta cecoslovacca Věra Čáslavská, in segno di protesta per la soppressione nel sangue della Primavera di Praga. A Parigi 2024 ha, invece, già suscitato interesse l’abbraccio e il selfie degli atleti nord-coreani dell’argento al ping pong con i sud-coreani vincitori del bronzo. Chissà quali altre sorprese ci riserveranno le Olimpiadi 2024?

Ci sarebbe un gran bisogno di gesti mediatici e, soprattutto, di vere azioni per la Pace. Tuttavia oltre 20 anni dopo l’istituzione formale della tregua olimpica, il bilancio rimane scarno in termini di risultati. Durante le Olimpiadi di Pechino del 2008 si è assistito all’invasione russa della Georgia, nel 2014 a Sochi alla penetrazione russa in Crimea, base dell’operazione speciale di Mosca avviata durante la pausa tra le Olimpiadi e le Paralimpiadi invernali di Pechino 2022. Parigi sarà capace di riservare qualche sorpresa in senso opposto a questo preoccupante elenco?

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