Inizia da oggi una collaborazione con Sos Humanity, una delle Ong impegnate a salvare, in mare, la vita a migliaia di persone. Raccontare cosa fanno, come vivono questa esperienza, quali sono le difficoltà, quali le aspettative, pensiamo sia fondamentale per strappare il velo di omertà e bugie che avvolgono la loro attività. Non è un mondo di supereoi e non è un mondo di corsari. E’ un mondo di gente come noi, che ha scelto però una cosa fondamentale: vuole stare dal lato giusto dell’umanità e della storia. E noi, come Atlante e come Unimondo, vogliamo stare esattamente dove si trovano loro. Vogliamo stare con loro. Buona lettura oggi e in futuro.
La nave della Ong del mare è arrivata lì su indicazione del centro di coordinamento del soccorso italiano a Roma. Li ha caricati a bordo ed è partita, facendo rotta su Crotone. Come indicato dalle autorità. “perché lavoriamo nel rispetto delle leggi – spiega Sofia Bifulco, che coordina la comunicazione – a differenza di molti. A differenza, ad esempio, degli stati membri dell’Unione Europea, che continuano a respingere illegalmente persone, fare accordi con Stati tipo Libia e Tunisia, pur consapevoli che portano solo ad ulteriori violazioni dei diritti umani, e che cercano di ostacolare le operazioni umanitarie ong a tutti i costi”.
Analisi sintetica ed efficace di quello che accade. Poche ore prima, la Humanity1 era salpata da Siracusa per la nuova missione. Era terminato il training del nuovo equipaggio e Bifulco raccontava che “abbiamo mandato le mail, avvisando le autorità che siamo operativi. Ora siamo in missione”
Una mail per avvertire le autorità che siete operative: qual è la reazione? Le autorità italiane ed europee non sembrano molto favorevoli alla vostra azione
Prendono atto che ci siamo e che muoveremo e che interverremo là dove c’è bisogno, dove viene lanciato un segnale d’emergenza.
Qualcuno vi dice dove andare?
No, nessuno. Andiamo perché ci avvisano che in dato punto del mare c’è un’imbarcazione in difficoltà. Questa segnalazione arriva da altre organizzazioni o da Frontex o, infine, dalla rete telefonica d’emergenza. Noi ci muoviamo dove serve grazie a questi strumenti.
Nessuno, salvo chi autorizzato, vi dice dove andare a recuperare i naufraghi, ma certamente qualcuno vi dice con precisione dove andare quando li avere a bordo…
Certamente ed è un grande problema. Con il decreto Piantedosi dell’agosto del 2023, abbiamo dovuto dire addio ai soccorsi multipli. E’ una follia: una volta prestata un soccorso, ci viene indicato il porto di sbarco e dobbiamo andare subito là, rinunciando ad operazioni multiple, che erano fondamentali per salvare vite umane. Inoltre, per le missioni sono costi altissimi da affrontare. Oggi, ad esempio, (10 ottobre 2024 NdR) la Ocean Viking ha salvato 6 persone nelle acque libiche. Bene, le hanno detto di andare a Ravenna. Una follia.
Siete ripartiti da Siracusa, città dove avete fatto base. Com’è il rapporto con i cittadini, con chi da terra vede quello che fate?
E’ un rapporto molto bello. Per un mese la nostra nave è stata aperta al pubblico. Potevano venire a bordo, capire come operiamo, fasci domande, conoscerci. Ed’ è stata una bella esperienza. E’ fondamentale, per noi, avere un forte radicamento nei territori.
Forte radicamento per avere consensi e risorse. Il problema risorse è serio: come raccogliete i fondi per gestire un’attività così dispendiosa?
Noi gestiamo le nostre attività grazie all’aiuto di altre, grandi organizzazioni umanitarie e grazie alle donazioni dei nostri sostenitori. Affrontare questa attività è diventato costosissimo e difficile, anche per effetto del decreto Piantedosi di cui parlavo. Le spese che dobbiamo sostenere sono diventate folli. Abbiamo la fortuna – e ce lo ha dimostrato anche questo mese a Siracusa – di avere l’affetto di tante persone, che credono in quello che facciamo. Siamo aiutati anche da tanti personaggi che ci supportano e organizzano o partecipano a eventi di supporto e raccolta fondi: attori, artisti, persone che sono punto di riferimento. Insomma, ce la facciamo, ma è davvero una continua lotta.
Avete appena terminato il training per la nuova missione. Siete pronti per questo nuovo viaggio. Com’è strutturato l’equipaggio?
A bordo ci sono 29 persone, che per ragioni operative potremmo dividere in due. Da un lato c’è il personale di mare, con il comandante, l’ingegnere, l’addetto alle macchine e i marinai che garantiscono una navigazione sicura. Poi, c’è la parte addetta alla ricerca e al salvataggio, che è divisa in tre dipartimenti. Il primo è ricerca e salvataggio e sono coloro che con i gommoni scendono in mare e recuperano le persone. Il secondo è quello della sicurezza e qui parliamo soprattutto del medici, paramedici, psicologi e tutti coloro che devono garantire il benessere ai naufragi e, non dimentichiamolo, a tutti coloro che sono sulla nave. Infine, c’è il dipartimento comunicazione, che raccoglie ed elabora il materiale che serve non solo per documentare la nostra attività, ma anche per “fare testimonianza”, per avere il racconto – quando si può – di chi è stato salvato.
Un lavoro complesso…
Sì assolutamente. Reso possibile dal mix di professionalità e passione degli equipaggi. I volontari per noi hanno un ruolo fondamentale, nelle varie posizioni a bordo. Senza questa “anima”, senza la loro “anima”, non avremmo la possibilità di andare avanti.
Un lavoro che sul campo è iniziato subito, anche questa volta. Poche ore e 36 vite sono state salvate. La missione durerà più o meno un mese.
Le foto sono del fotografo Max Cavallari (Sos Humanity)
Intervista a cura di Redazione