di Maurizio Sacchi
Appena iniziata la guerra commerciale di Trump contro Canada e Messico, ha fatto irruzione un’altra guerra nascosta: il Fentanyl. Con 90mila morti l’anno negli Stati Uniti, si tratta di un vero dramma umanitario. Ma il fronte di questo conflitto non si colloca sul confine Usa-Messico, come vorrebbe l’inquilino della Casa bianca, ma nel cuore stesso della Repubblica stellata. Secondo i dati preliminari dei Centers for Disease Control, a livello nazionale i decessi per overdose sono stati 89.740 nei 12 mesi terminati ad agosto 2024.
Il fentanyl è un oppioide sintetico comunemente utilizzato per trattare i pazienti affetti da dolore cronico grave dopo un intervento chirurgico. Si tratta di una sostanza simile alla morfina ma circa 100 volte più potente. Gran parte del farmaco proviene dai tre Paesi presi di mira dai repubblicani, Messico, Canada e Cina, ma la storia del fentanyl negli Stati Uniti ha origine nell’industria farmaceutica e mette in luce un problema di salute pubblica.
Le misure di sicurezza alle frontiere sono la soluzione? Secondo molti esperti, la risposta é: no. I fentanyl é inodore, una dose letale può essere pari anche solo a due milligrammi. Dunque è estremamente difficile da individuare alla frontiera; inoltre, viene infiltrato in pillole apparentemente legali per uso medico, situazione aggravata dalla possibilità di acquistare medicinali online. Per arrestare l’entrata in vigore dei dazi al 25 percento sulle esportazioni negli Usa delle sue merci, il Messico ha accettato di inviare immediatamente 10.000 soldati della Guardia Nazionale al confine con gli Stati Uniti per combattere il traffico di droga, e Trump ha accettato di sospendere i dazi per 30 giorni.
Ma l’attacco al Messico del Presidente statunitense non si limitava al terreno commerciale, o al traffico di droga: arrivava fino al punto di accusare il governo messicano di essere colluso con i cartelli criminali del Paese. Alludendo perfino a un possibile intervento armato unilateraale oltre il confine del Rio Bravo. A tutto questo, il 3 febbraio la Presidente messicana, Claudia Sheinbaum, ha dato una risposta esemplare, per fermezza, chiarezza, e dignità.
Vale la pena ascoltarla, ma riassumiamo. Sul possibile intervento armato, ha rivendicato con sdegno l’indipendenza e l’inviolabilità del suo Paese, e ha sottolineato che i dazi minacciati colpirebbero prima di tutto i cittadini degli Stati Uniti, con un aumento dei prezzi su un’infinità di generi di consumo, e la stessa General Motors, che produce auto in Messico. Sul fronte degli stupefacenti e della criminalità organizzata ha rimandato le accuse oltre frontiera con una forza e un’efficacia doppia. Ha ricordato gli sforzi del governo messicano per contrastare la criminalità, e ha invitato Washington a combattere lo smercio e il consumo del fentanyl a casa propria, sottolineando la necessità di prendersi cura dei propri giovani, con una netta distinzione fra la repressione del traffico, e la protezione, più che la repressione, nei confronti delle vittime.
Un altro duro colpo dialettico é stato inferto dalla Sheinbaum al suo omologo di Washington: ha indicato che circa il 70 percento delle armi sequestrate ai cartelli in Messico proviene dall’industria bellica degli Stati Uniti. Si tratta di armi destinate all’esercito, e non in vendita al pubblico: invece di accusare il Messico di collusione, gli Usa dovrebbero preoccuparsi di contrastare questo traffico illegale. E ancora: ha ricordato che in Messico il consumo di fentanyl é infinitamente inferiore a quello dei vicini del Nord. Durante il dibattito parlamentare a Città del Messico ha detto: “ Il Messico é un grande Paese, e lo é soprattutto sul piano culturale. Sono le nostre famiglie, la società messicana. che si prendono cura dei propri giovani, con programmi sociali e di salute pubblica”, che fanno sì che il fentanyl non sia una piaga sociale.
*Foto di Randy Laybourne su Unsplash