Sri Lanka: stato di emergenza non ferma violenze

Redazione

Lo stato di emergenza imposto martedì nello Sri Lanka dopo numerosi attacchi alla minoranza musulmana da parte di gruppi ultra nazionalisti non ha impedito nuovi attacchi a siti religiosi e negozi nell’area di Kandy che si sono verificati anche dopo l’imposizione della drastica misura.
Lunedì le autorità dello Sri Lanka hanno imposto il coprifuoco a Kandy, capitale di un distretto centrale del Paese asiatico, dove si sono verificati gravi incidenti tra estremisti buddisti e musulmani. Fortunatamente senza vittime. La polizia, sostengono alcune fonti, avrebbe agito tardivamente durante i due giorni di scontri, sebbene sui social fossero stati diffusi gli appuntamenti dei buddisti radicali che son poi sfociati in violenze e incendi contro moschee e negozi. Ieri però il governo ha deciso di estendere a tutto il Paese lo stato di emergenza, una misura estrema che restituisce il clima di questi giorni e che fa paventare la possibilità di nuove violenze che non si sarebbero limitate infatti alla sola regione di Kandy – famosa per essere una meta turistica e nota per le piantagioni di te – ma sarebbero esplose anche in altre zone del Paese dove vive la minoranza di circa 2 milioni di musulmani (il 10% dei 21 milioni di abitanti). Il 75% sono singalesi buddisti con cui convive anche una importante comunità hindu: i tamil del Nord, arrivati nell’isola secoli or sono, e quelli che lavorano proprio a Kandy, figli dell’immigrazione che i britannici imposero a diverse famiglie indiane costrette a lavorare nelle piantagioni, logica ricorrente nell’Impero d’Oltremare di Londra. A fine febbraio le prime avvisaglie di un ennesimo pogrom, il più grave dei quali risale al 2014: ad Ampara, nell’Est del Paese, viene vandalizzata una moschea mentre gruppi radicali capeggiati da monaci accusano i musulmani di fare proselitismo religioso. Gli episodi recenti, di cui quelli dello scorso week end sono i più gravi, sono comunque ricorrenti: un’immagine diffusa da Reuters ad esempio, nostra l’arresto nell’ottobre scorso del “venerabile” Akmeemana Dayarathana Thero dopo la protesta organizzata dalle tuniche arancioni contro una trentina di rohingya (proprio ieri l’Onu ha confermato che la pulizia etnica contro di loro continua) che avevano richiesto asilo politico in un Paese dove sono attive organizzazioni estremista come la Bodu Bala Sena – sotto accusa in questi giorni – capeggiata da monaci ultranazionalisti.
La comunità musulmana, diffusa in prevalenza sulla costa, è in parte di origine araba, giavanese e indiana. La violenza caratterizza purtroppo una convivenza difficile tra le diverse comunità come testimonia l’eccidio di tamil durante la guerra civile durata dal 1983 al 2009 quando un vasto operativo militare distrusse le basi della guerriglia uccidendo però anche migliaia di civili. Il governo intende adottare adesso misure per punire chi diffonde l’odio etnico religioso nel Paese ma i monaci radicali sono però largamente tollerati.

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