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Taiwan e i muscoli di Pechino

di Maurizio Sacchi

Lunedì scorso la flotta militare  di Pechino ha circondato Taiwan con un massiccio dispiegamento di navi, mentre la portaerei Liaoning attraversava lo Stretto di Bashi, che separa Taiwan dalle Filippine. 135 velivoli da guerra accompagnano la manovra,  di cui almeno 90 sono entrati nei cieli dell’isola. L’operazione, denominata  Spada Congiunta 2024 B,è dichiaratamente una risposta al discorso del Presidente taiwanese William Lai Ching-te, che nel celebrare la festa nazionale  aveva nuovamente sollevato la questione dell’indipendenza dell’isola, argomento che la Cina considera inaccettabile, poiché considera quella che gli europei chiamavano Formosa come parte integrante del suo territorio.

Il fatto che Taiwan sia parte della Cina è d’altra parte riconosciuto da quasi tutti i Paesi del mondo, Stati Uniti per primi. Dopo il disgelo fra gli Usa e la Repubblica Popolare del 1972, che vide Mao e il presidente Richard Nixon raggiungere un accordo su molti punti critici, venne firmata la Dichiarazione di Shangai, nella quale, oltre alla normalizzazione dei rapporti diplomatici fra i due Stati, si dichiarava che Taiwan fosse parte integrante  della Cina, pur mantenendo una autonomia di fatto. Da allora, mentre Pechino si attiene alla dottrina detta “un Paese, due sistemi”, che accetta che  l’isola si governi secondo regole proprie, ma senza reclamare l’indipendenza, il governo di Taipei ha mantenuto una linea ambigua.

Quando il generale Chang Kai Shek, sconfitto dall’Esercito popolare di liberazione di Mao Ze Dong, nel 1949 traversò lo stretto con il suo esercito per fondare sull’isola la Repubblica di Cina – nota come ROC, Republic of China – affermava a sua volta che la Cina fosse una sola, e che Taiwan ne fosse l’unico vero rappresentante. Quello che fu poi il dittatore dell’isola ripeteva, specularmente e con senso contrario, quello che Pechino sosteneva.  Da allora, parlare di uno Stato di Taiwan è stato un tabù anche in ambito taiwanese. A d esempio, il 2 settembre de  2008, il Presidente Ma definì le relazioni tra Taiwan  e la Cina  continentale “speciali”: ma “non quelle fra due  Stati”  ma tra aree di un solo Stato, lasciando ancora in sospeso chi fra Taipei e Pechino lo rappresentasse.  Poi, nel 2016, il Democratic Progressive Party  di Tsai Ing-wen, dopo aver sconfitto il Kuomintang fondato da Chang Kai Shek, dichiarò che desiderava mantenere lo status quo di Taiwan, senza cioè reclamarne l’indipendenza. E anche l’attuale presidente Ching-te, eletto nel 2024, durante  la  campagna elettorale , mentre asseriva la sovranità di Taiwan, dichiarò una formale dichiarazione di indipendenza  “innecessaria” , preferendo mantenere lo status quo.

Ma il discorso della festa nazionale non è piaciuto a Pechino, per cui l’indipendenza di Taiwan è inammissibile, e definisce le manovre “un potente deterrente per le attività separatiste degli elementi indipendentisti di Taiwan e sono azioni legittime e necessarie per salvaguardare la sovranitàа nazionale”. Da qui la massiccia operazione che di fatto circondare l’isola, facendo pensare a due scenari possibili: occupazione militare, o blocco navale. Taiwan aveva già lanciato l’allarme quest’anno, dichiarando che l’aumentata forza militare della Cina la metteva ora nelle condizioni di operare un attacco armato. Per quanto riguarda il secondo scenario, un blocco delle importazioni metterebbe Taipei nella situazione di non potersi difendere, poiché la gran parte degli approvvigionamenti di armamenti e logistica viene importato. 

E gli Usa? Una nota ufficiale definisce questa come una “risposta con provocazioni militari a un discorso annuale di routine, ingiustificata e [che]  rischia [di innescare ] un’escalation (… ). Invitiamo la Repubblica popolare cinese ad agire con moderazione e ad evitare ulteriori azioni che possano minare la pace e la stabilità nello Stretto di Taiwan e nella regione più ampia”. Occorre sottolineare il fatto che, durante tutte le presidenze che si sono succedute a Washington, dai repubblicani Bush padre e figlio, ai democratici Clinton e Obama, nessuno ha mai sostenuto la causa dell’indipendenza di Taiwan, limitandosi a sostenerne l’autonomia. Alcuni momenti di attrito vi furono durante la presidenza Trump, ma furono innescati dalla speaker democratica della Camera, Nancy Pelosi, che si recò in una visita semi-ufficiale sull’isola, incontrando i vertici politici. Mossa che anche allora innescò la reazione di Pechino, anche in quel caso sfociata in manovre militari intorno a Taiwan.

D’altra parte, la contesa militare in quei mari non si limita a Taiwan. Quest’anno, una forza navale congiunta da parte delle flotte della Nato, a cui ha preso parte anche la Marina militare italiana, più quelle di altri Paesi dell’area, come l’Australia e la Nuova Zelanda ha messo in mare grandi manovre, a sottolineare che l’area Indo-pacifica è un luogo conteso, con la Cina che rivendica il controllo del Mar Cinese Meridionale, e i Paesi nella sfera di alleanze occidentale che ne temono le mire espansionistiche.

nella foto, piloti dell’aviazione dell’Esercito popolare di liberazione (PLAAF)

 

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