Quella di ieri è stata, nella capitale e in altre città della Thailandia, la sesta giornata consecutiva di manifestazioni di piazza che, iniziate mercoledi 15 scorso, sono proseguite tutti i pomeriggi a seguire dopo che la polizia, la mattina del giovedi, aveva arrestato i leader della protesta e sgomberato il presidio notturno dei manifestanti davanti al Palazzo del governo. Il pacifico assedio aveva spinto il premier a emanare un decreto che
La manifestazione di lunedi (convocata in tre diversi punti della capitale) si è conclusa pacificamente alle sette di sera quando gli assembramenti si sono sciolti spontaneamente. Domenica invece i manifestanti si erano ritrovati in altre due zone della città (Victory Monument a Asok intersection) mentre il giorno prima ancora i manifestanti avevano scelto cinque zone diverse. Il sistema di comunicazione del luogo di incontro si svolge in modalità telefonica o telematica all’ultimo momento, per evitare che la polizia blocchi l’afflusso: una modalità che, da sabato scorso, ha funzionato facendosi beffe delle forze dell’ordine. Ma sin da sabato è stato chiaro che la polizia aveva avuto ordine di stare ferma in una situazione che vede mobilitazioni in quasi venti città tailandesi e grandi dimostrazioni con decine di migliaia di giovani nella capitale. La polizia comunque ha chiesto l’autorizzazione a bloccare cinque testate indipendenti accusate di diffondere notizie che possono minare la sicurezza nazionale. Ma per ora nessun sito è stato chiuso dopo una levata di scudi di accademici, giornalisti, società civile.
Mentre il partito di opposizione Pheu Thai ha chiesto al tribunale di annullare il decreto promulgato giovedi, i dimostranti continuano a chiedere le dimissioni del Primo ministro, una riforma della Costituzione che cambi anche la composizione del Senato (per ora scelto e non eletto) e una modifica dei primi due capitoli della Carta che riguardano il ruolo della monarchia. Le manifestazioni sono iniziate nel febbraio scorso ma da agosto hanno preso un nuovo abbrivio per culminare nella giornata del 14 ottobre e, a seguire, in una settimana di continua mobilitazione.
(Red/E.G.)