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Tra il tifone e il conflitto

di Emanuele Giordana

Secondo l’Onu ci sono quasi 300 milioni di persone nel mondo che hanno bisogno di assistenza umanitaria e protezione. Buona parte di loro è attanagliata da guerra e povertà ma una fetta rilevante è colpita da emergenze climatiche. Tra i casi più recenti, oltre all’Africa, c’è quella che ha colpito il Sudest asiatico nei giorni scorsi. Piogge, alluvioni e smottamenti che hanno invaso campagne, distrutto raccolti, sommerso case e persone. La Bbc giovedi sosteneva che almeno 500 persone sarebbero state uccise dagli effetti di Yagi di cui 300 solo in Myanmar. Cifre probabilmente per difetto

Le inondazioni e le frane innescate dal tifone Yagi sono gli effetti di una tempesta climatica considerata la più potente che abbia colpito l’Asia nel 2024, con piogge torrenziali in aggiunta alle precipitazioni stagionali che hanno causato lo straripamento dei fiumi e innescato frane mortali. Oltre 850 scuole e più di 550 centri sanitari sono stati danneggiati, la stragrande maggioranza in Vietnam – avverte l’Unicef – mettendo a rischio almeno tre milioni di persone solo in quel Paese. Ma se Thailandia, Laos e Filippine sono stati meno disastrati e il Vietnam – con la Cina meridionale anch’essa colpita – riesce comunque a reagire, lo stesso non si può dire del Myanmar dove al flagello del tifone si aggiunge quello della guerra. L’Unicef, al 18 settembre, stimava a 170 le vittime e a più di 320.000 gli sfollati nel Myanmar centrale dove scorre l’Irrawaddy, uno dei grandi fiumi del Sudest asiatico col Mekong, il cui delta è in Vietnam. Gli sfollati in tutto il Paese sarebbero però oltre 600mila e i morti, secondo la giunta militare al potere, almeno 268 secondo i dati diffusi mercoledi, saliti giovedi a 293 con 89 dispersi.

L’emergenza ha colto impreparata la giunta, impegnata a bombardare nelle zone che la Resistenza birmana sottrae di giorno in giorno al suo controllo. E ha fatto persino appello alla Comunità internazionale con una mossa senza precedenti. Peraltro, come ha notato un commentatore sul quotidiano d’opposizione Irrawaddy, le stesse agenzie Onu “stanno affrontando una prova dei loro principi e della loro determinazione. Dal colpo di stato militare del 2021, hanno gravemente fallito nell’assistere il popolo del Myanmar, che è stato sistematicamente preso di mira e terrorizzato dai militari. Ora hanno una nuova possibilità”. Non sarà facile in un Paese dove la guerra impera da tre anni e mezzo con un bilancio che avrebbe ormai superato le 50mila vittime e i 3 milioni di sfollati. E la giunta ha sempre ostacolato l’Onu.

Nel tentativo di aggiustare l’inaggiustabile, il leader dei militari, generale Min Aung Hlaing, vorrebbe concludere il censimento entro il 15 ottobre e il tifone gli sta complicando un’impresa che già si è dimostrata fallimentare in passato. Il problema è che la Cina, che tiene con lui rapporti difficili ma stretti, gli ha intimato di tenere consultazioni che la giunta promette da che ha preso il potere. Elezioni farsa ma pur sempre elezioni. Impossibile però farle senza il censimento.

Sul fronte della guerra – a proposito di pressioni cinesi – si deve intanto registrare che il Myanmar National Democratic Alliance Army (Mndaa) ha dichiarato che non collaborerà con il Governo clandestino civile (Nug) dopo che Pechino ha minacciato di conseguenze la Broterhood Alliance di cui il gruppo fa parte e che comprende altre due milizie etniche armate. Il Mndaa ha detto che non minaccerà più Mandalay, seconda città del Paese, fermando un’avanzata che stava sensibilmente preoccupando la giunta.

In copertina: gli effetti del tifone in Vietnam

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