Tra morti e repressione, in Venezuela la Russia produce Kalashnikov

Prosegue la protesta dopo la contestazione del voto

di Maurizio Sacchi

Almeno 25 persone sono state uccise nelle proteste post-elettorali in Venezuela, con quasi 200 feriti e più di 2.400 arrestati. Ma l’opposizione non molla. “Non lasceremo le strade”, ha detto Maria Corina Machado alla folla di Caracas, dove centinaia di manifestanti sventolavano la bandiera nazionale e stampavano copie dei registri elettorali che dimostrano la prova della  vittoria elettorale. Secondo i verbali raccolti dall’opposizione, Edmundo Gonzalez Urrutia ha ottenuto oltre l’83 per cento dei voti. Al contrario, il Consiglio nazionale elettorale (CNE) ha formalmente dichiarato Maduro vincitore del voto, con il 52% dei consensi rispetto al 43% del principale sfidante dell’opposizione Edmundo Gonzalez. E intanto, migliaia di manifestanti in piazza in tutto il mondo a favore di Gonzalez in gran parte esuli venezuelani, che al momento sono circa 7 milioni e mezzo.

La repressione si fa sempre più violenta, e su diverse case del quartiere 23 de Enero di Caracas, in Venezuela, sono comparse delle grandi “X” nere disegnate con  vernice spray dai gruppi paramilitari che sostengono il presidente Nicolás Maduro, per identificare le abitazioni delle persone che non hanno sostenuto la sua candidatura. Brasile e Colombia stanno esercitando pressioni per una ripetizione delle elezioni. I due presidenti, Luiz Inácio Lula da Silva e Gustavo Petro, hanno discusso telefonicamente su come superare la crisi in atto a Caracas, concordando sulla necessità di nuove elezioni. Questo ha suscitato la risposta indignata dell’opposizione venezuelana, che rivendica la vittoria. 

Anche il Presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, durante una visita nella Contea di Prince George, aveva dichiarato di essere favorevole a un nuovo voto. Ma si trattava di un’ ennesima gaffe. Il Presidente aveva frainteso una domanda, creando ore di confusione  Quando un giornalista gli ha chiesto se fosse favorevole a nuove elezioni in Venezuela, ha risposto semplicemente: “Sì, lo sono”, senza approfondire. Qualche ora dopo, tuttavia, un portavoce della Casa Bianca ha chiarito che il presidente si riferiva in realtà all’“assurdità” della mancata pubblicazione dei verbali di voto delle elezioni del 28 luglio da parte del Presidente venezuelano Nicolás Maduro.

Chi non si unisce al coro delle proteste contro il regime di Caracasè la Russia. Che sta per installarvi una fabbrica di armi. La settimana scorsa il capo del Servizio di cooperazione tecnica militare russo, Dmitry Shugayev,  ha dichiarato: “La costruzione di una fabbrica di fucili d’assalto Kalashnikov AK-103 in Venezuela sta procedendo ‘secondo i piani’. Commentando lo stop al progetti nei mesi passati, Shugayev ha dato la colpa agli Stati Uniti. “Con l’imposizione di sanzioni da parte di Washington, sono sorte alcune difficoltà che hanno influito negativamente sulla logistica, sulla formazione di specialisti e su altri fattori.  La fabbrica è una struttura militare nella città di Maracay, nello stato venezuelano di Aragua. Al suo interno si produrranno fucili d’assalto AK-103 e AK-104 su licenza russa. Secondo il capo del Servizio di cooperazione tecnica militare di Mosca, “la Russia e il Venezuela considerano questo progetto parte dell’eredità di Hugo Chávez”. 

Anche nella vicina Colombia, la crisi venezuelana sta causando conflitto. Il presidente Gustavo Petro e il sindaco di Bogotá, Carlos Fernando Galán, sono stati al centro di un battibecco questo fine settimana sul social network X, sulla situazione in Venezuela, e sulla posizione ambigua del Presidente. il sindaco Galán ha inviato un messaggio a Petro in cui gli chiedeva di chiarire se stesse censurando la sua posizione sugli incidenti che hanno travolto il Paese vicino e sulla mancanza di azione del governo per “affrontare una dittatura”.

nell’immagine da wikipedia, l’ AK-104

Tags:

Ads

You May Also Like

Trump attacca su tutti i fronti

Mentre Pechino minaccia un contrattacco, usando l'arma delle terre rare, gli Usa scelgono la linea dura, anche con gli alleati

di Maurizio Sacchi Mentre Donald Trump fa della sua visita nel Regno unito un’occasione ...

Srebrenica: un monumento senza memoria

Inaugurato nella Giornata internazionale della pace sostenuta dalle Nazioni Unite scatena polemiche

di Raffaele Crocco Che ad oggi 47 persone siano state condannate a più di ...

Dayton, 25 anni dopo

E' passato un quarto di secolo dagli accordi che dovevano sancire la pace in Bosnia Erzegovina: il risultato è un Paese diviso, con due entità maggiori, un distretto autonomo, 14 Costituzioni, un governatorato internazionale, 14 governi con circa duecento ministri