Ucraina, le armi come unico linguaggio. Il punto

358 giorni di guerra senza uno spiraglio che faccia tacere i fucili

di Raffaele Crocco

L’offensiva russa è iniziata, tutti gli osservatori concordano su questo. I giorni di questa nuova fase della guerra sono ormai 358. Fra una settimana sarà un anno dall’invasione russa dell’Ucraina. E le armi non tacciono, anzi. Le ipotesi di negoziato si allontanano con le navi e i sottomarini nucleari schierati dalla Russia nel Baltico. Lo denunciano i servizi segreti norvegesi. Non accadeva dalla fine della Guerra Fredda, negli anni ‘90 del secolo scorso. Volano via con gli aerei olandesi, schierati a guardia dei confini Nato in Polonia, costretti ad alzarsi in volo per contrastare le provocazioni dell’aviazione russa. Affondano nelle armi che continuano ad arrivare in Ucraina: i carri Leopard 1 e 2 saranno consegnati entro aprile e serviranno – lo dice lo stato maggiore ucraino – per la controffensiva di primavera. Soprattutto, le ipotesi di un accordo al tavolo cozza contro l’insistenza russa nel voler conquistare terreno. L’esercito ucraino sta lottando metro per metro nel Donetsk e nel Lugansk. L’armata russa preme, ma fatica. Le perdite sarebbero altissime e così Putin pensa di rilanciare la strategia degli attacchi missilistici e aerei. Secondo gli osservatori della Nato, Mosca sta ammassando un grande quantità di aerei al confine con l’Ucraina. L’idea è di vincere bombardando, là dove non si riesce a sfondare sul terreno.

Da parte russa filtrano, ovviamente, altre visioni. La guerra non va poi così male secondo Yevgeny Prigozhin, capo del gruppo di mercenari della Wagner. In un’intervista riportata dal Guardian, ha previsto entro un paio di mesi la caduta della città ucraina di Bakhmut. “Sarà conquistata a marzo o aprile – ha spiegato -. Dipende dal numero di soldati che l’Ucraina impegnerà per la sua difesa e del livello di rifornimento delle sue truppe”.  Sono sempre le armi a parlare, quindi. E sui possibili margini per un compromesso , per un negoziato, è intervenuto di nuovo anche il presidente ucraino Zelensky. “La questione – ha detto – non è il compromesso in sé, ma con chi. Con Putin? Con lui no, perché non c’è fiducia. Non posso dialogare con lui, perché non mi fido”.

La strada appare sbarrata. Sul piano internazionale si moltiplicano gli appelli alla Cina, per uno suo intervento di mediazione, ma la situazione resta complessa. Si aprono fronti lontani: in Iran sono stati attaccati gli stabilimenti che producono i droni ceduti alla Russia. Teheran ha accusato Stati Uniti e Israele, che hanno negato. La Nato ha confermato la volontà di continuare ad armare Kiev, pur negando per ora l’invio di aerei. Il problema, in questa fase, è soprattutto garantire il munizionamento di artiglieria e missilistico. A margine, resta il problema di chi dalla guerra scappa o di chi si nega, come i disertori. Una notizia arriva da Seul. La Corea del Sud ha riconosciuto lo status di rifugiato a due disertori che da mesi vivevano nell’aeroporto internazionale di Incheon. Erano lì da ottobre 2022, da quando erano fuggiti per non andare a combattere. Ad un terzo espatriato lo status di rifugiato è stato, invece, negato.

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