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Una condanna per gli “Afghan Files”

Nel Paese da cui è originario il fondatore di Wikileaks Julian Assange c’è un nuovo caso dove informazioni sensibili sono alle origini di un’incriminazione e – oggi – di una condanna. Si tratta dell’’ex avvocato e maggiore dell’esercito australiano David McBride che è appena stato condannato a Canberra a cinque anni e otto mesi per aver rivelato ai giornali le nebbie dell’occupazione australiana dell’Afghanistan. Scelta più che volontaria visto che l’Australia non è membro della Nato.

La sentenza che ha giudicato Mc Bride colpevole arriva a distanza di sette anni da che l’emittente pubblica Abc aveva pubblicato una serie di articoli noti come “Afghan Files” proprio grazie alle informazioni fornite ai giornalisti da McBride il quale non ha mai voluto nascondere il suo desiderio di rendere note le in formazioni di cui era entrato in possesso. Si aspettava che la giustizia del suo Paese valutasse se era o meno giustificato il suo comportamento che McBride ha sempre difeso perché si sentiva moralmente in dovere di condividere pubblicamente quanto sapeva. Alcune indagini sull’operato dei soldati australiani gli ha anche dto ragione.

Quando nel 2019 le verità di McBride diventarono pubbliche, la polizia federale australiana fece irruzione negli uffici della Abc confiscando tutto il materiale relativo agli “Afghan Files”, cui tra gli altri lavorava soprattutto il giornalista Dan Oakes, che alcuni mesi fa è stato insignito della Medaglia dell’Ordine dell’Australia per il “servizio reso al giornalismo” proprio per via del suo lavoro sul materiale fornito da McBride. Un paradosso.

Gli avvocati di McBride avevano chiesto clemenza, sostenendo proprio che il loro cliente aveva condiviso le informazioni riservate con intenzioni “onorevoli” e per senso del dovere. Ma secondo i giudici, McBride era motivato da “rivendicazioni personali” e quel che ha fatto ha messo in pericolo la sicurezza nazionale e la politica estera dell’Australia. I sostenitori di McBride però pensano invece che la sentenza della Corte Suprema di Canberra sia una sorta di punizione e che il governo australiano sia più più interessato a punire chi ha fatto luce su fatti oscuri che non a perseguire gli autori di presunti crimini di guerra.

“È una parodia che la prima persona imprigionata in relazione ai crimini di guerra australiani in Afghanistan non sia un criminale di guerra ma un whistleblower (una persona che ha avuto accesso e rivelato informazioni sensibili ndr)”, dice – riferisce Al Jazeera – Rawan Arraf, direttore esecutivo del Centro australiano per la giustizia internazionale. Gli fa eco Peter Greste, direttore esecutivo dell’Alliance for Journalists’ Freedom, secondo cui “la libertà di stampa si basa sulla protezione dei giornalisti e delle loro fonti”. Ha anche osservato che l’Australia è recentemente scesa al 39° posto nella classifica mondiale sulla libertà di stampa.

(Red/Est/Em. Gio.)

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