di Maurizio Sacchi
Donald Trump ha annunciato che, fallito l’ultimo incontro con la delegazione cinese del 9 di maggio, sono scattate le nuove tariffe doganali su 300 miliardi di dollari di importazioni dalla Repubblica popolare cinese. Le reazioni dei mercati sono state immediate, e pesanti. Tutte le borse internazionali hanno subito pesanti cadute, e la immediata risposta cinese, che colpisce le merci importate dall’America per circa 60 miliardi l’anno, prelude a cadute ancor più severe.
Poco dopo, il redattore del Global Times, organo d’informazione cinese affiliato allo stato, Hu Xijin, ha twittato: “La Cina potrebbe smettere di acquistare prodotti agricoli ed energetici statunitensi, ridurre gli ordini Boeing e limitare il commercio di molti prodotti provenienti dagli Stati uniti.” Ma ha aggiunto : “Un gruppo numeroso di studiosi cinesi sta discutendo sulla possibilità di scaricare i buoni del Tesoro degli Stati Uniti, [detenuti da Pechino] e sui modi di farlo”.
“Proprio una bella notizia!” commenta sarcastica , nella sua newsletter Kelly Evans, seguitissima commentatrice economica americana, che così prosegue: “I rendimenti dei buoni del tesoro Usa sono già in caduta, dato il selloff globale: il rendimento a 10 anni è tornato sotto il 2,4%. Inoltre, l’acquisto da parte della Cina di buoni del tesoro è legato ai suoi sforzi per mantenere debole la sua moneta, che è anche il modo in cui ha accumulato i suoi miliardi di dollari in riserve Usa.” Un dato su cui riflettere, visto che uno dei punti su cui Trump insiste è che la Cina mantenga basso artificialmente il valore della sua valuta. Ma una vendita massiccia dei buoni americani ne farebbe crollare il rendimento, con conseguenze gravi e imprevedibili sul debito americano. E ancora: “Una preoccupazione ancor più grande sorgerebbe se davvero la Cina dovesse ridurre i suoi ordini Boeing (le azioni della società sono scese di un altro 4% oggi). Gli “ABC”, dell’esportazione Usa in Cina: Apple, Boeing, e Caterpillar, sono stati tutti duramente colpiti: Apple è in calo di oltre il 5% e Caterpillar è in calo di circa il 5% al momento in cui scriviamo”.
Il New York Times cerca di vedere uno spiraglio nella crisi, ma
Pechino sa dove colpire, nella sua reazione alle misure di Washington: come scrive il South China Morning Post, in un’inchiesta sul settore agricolo Usa: “I produttori di carne di maiale statunitensi dichiarano di perdere 8 dollari USA per animale” a causa della disputa con la Cina. Gli agricoltori americani hanno “perso ogni speranza” di una soluzione soddisfacente alla guerra commerciale USA-Cina, e stanno spingendo il loro governo a rivolgersi a nuovi mercati dopo l’improvvisa escalation delle tensioni la scorsa settimana. Gli esportatori agricoli statunitensi, come i produttori di soia e suino, hanno subito gravi perdite nell’ultimo anno da quando le tariffe cinesi sono state applicate ai loro prodotti, e temono che la disputa prolungata li terrebbe fuori dal mercato cinese per molto tempo a venire. “Se me lo aveste chiesto due settimane fa, avrei detto che ero ottimista riguardo a un accordo, ma ora ho appena fatto un’inversione a 180 gradi, e non sono affatto ottimista”, dice ad esempio Lindsay Greiner, presidente dell’Associazione dei produttori di soia dell’Iowa.
In una conferenza stampa organizzata dal gruppo Hurt the Heartland, Brent Bible, un coltivatore di soia e mais di Lafayette, Indiana, ha dichiarato: “Il nostro vantaggio competitivo è sempre stato [di essere riconosciuti] come fornitori affidabili. Tutto questo l’ha spazzato via. Ci ha reso così poco competitivi, che i compratori sono disposti a correre il rischio di rivolgersi ai Paesi sudamericani, malgrado i loro limiti di logistica, sicurezza ed affidabilità. La Cina e altri – conclude – sono ora disposti a correre questo rischio, dal momento che abbiamo un prezzo così lontano dal mercato “.