Usa/Cina: niente di fatto nella cena alle Hawaii

Incontro al vertice delle due superpotenze. Ma il summit  "costruttivo" partorisce un topolino

Dal nostro inviato nel Sudest asiatico

Emanuele Giordana

Come avevamo anticipato alcuni giorni fa il  diplomatico cinese Yang Jiechi e il segretario di Stato americano Mike Pompeo si sono incontrati mercoledì per un colloquio alle Hawaii preparato in gran segreto, sembra su volontà americana. Ma la montagna ha partorito un topolino. Al di là di una dichiarazione congiunta assai vaga, le indiscrezioni emerse a seguito dell’incontro dicono chiaramente che l’unico fatto positivo è che l’incontro c’è stato. Un incontro durato sette ore con cena.

Taiwan, Hong Kong e la repressione nello Xinjiang avrebbero dominato il summit definito .”costruttivo” tra Mike Pompeo e Yang Jiechi. Pechino “si impegna” a migliorare il suo rapporto con Washington – scrive il South China Morning Post – ma avverte gli Stati Uniti che “difenderà risolutamente” i suoi interessi. Alla fine l’incontro ha solo offerto la prova di un desiderio condiviso di impedire che i rapporti si  inaspriscano ulteriormente. Qualcosa, ma non molto se non la volontà di proseguire il dialogo. Ma questa volontà c’è davvero o è semmai una mossa per raffreddare gli animi alla vigilia delle elezioni americane?

Anche la scelta del luogo aveva per altro un significato: nelle Hawaii è dislocato il Comando dell’area indo-pacifica (Usindopacom- situato nel  Nimitz-MacArthur Pacific Command Center,  Camp  Smith, Hawaii) che può contare su oltre 370mila uomini e sulla  Settima flotta,  la più grande delle flotte dispiegate dalla marina statunitense con una disponibilità di azione immediata di circa 50-70 tra navi e sottomarini, 140 aerei e circa 20.000 marinai (l’immagine di copertina illustra l’area d’azione di Usindopacom). Gli americani proprio recentemente hanno rafforzato  manovre navali di pattugliamento, sorveglianza e osservazione nell’area che hanno innervosito i cinesi. Un esercizio muscolare mentre si scaldava il dossier Covid-19, il caso Hong Kong e quello mai chiuso su Taiwan. L’intromissione americana nel contenzioso sulle isole del Mar Cinese meridionale è infatti un altro dossier bollente che rischia di scaldarsi se il Congresso approverà la proposta di legge detta  “Indo-Pacific Deterrence Initiative”.

Nel progetto di legge si chiedono oltre sei miliardi per la sola regione indo-pacifica e per il solo 2021 con un piano che probabilmente arriverà ai venti miliardi – chiesti dall’ammiraglio comandante Philip Davidson in aprile – nel giro dei prossimi esercizi finanziari. Quanto ai cinesi la partita non è meno aperta: la Nuova Via della Seta (One Belt one Road) si basa anche su un “filo di perle” marittime che sono i porti di Chittagong in Bangladesh, Sihanoukville in Cambogia, Hambantota a Sri lanka e Gwadar in Pakistan più altri progetti (Myanmar, Thailandia, Cambogia) per la costruzioni di nuove infrastrutture portuali e in alcuni casi anche militari. Pechino ha una forza militare navale di circa 100mila uomini, la seconda al mondo dopo gli Stati Uniti (che ne conta quasi il doppio) col compito di proteggere, oltre ai confini, la sua collana di perle marittima.

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