di Raffaele Crocco
Sarebbero 12mila uomini, 4 brigate. Sbarcati a Vladivostok, sarebbero già in prima linea, anzi ne sarebbero morti 18 nel primo giorno di combattimenti. Attorno a questa notizia, cioè all’arrivo di rinforzi nordcoreani alla Russia, ruotano reazioni e previsioni in questa ennesima settimana di guerra in Ucraina. Tante le voci, altrettante le conferme. Dalla Commissione Europea fanno sapere che “la presenza di truppe nord coreane disponibili a combattere in Ucraina, se fosse confermata, marcherebbe un altro livello di escalation da parte della Russia, mostrando ulteriore disprezzo per il diritto internazionale”. Mosca risponde dicendo di essere libera di avere qualunque tipo di rapporto con i propri alleati.
Certamente, si tratta di un nuovo punto di tensione, in una crisi sempre più dichiaratamente internazionale. Il pensiero corre al presidente francese Macron, che più volte si è detto pronto ad inviare truppe in difesa di Kiev: a questo punto perché non dovrebbe farlo, non come Paese Nato, ma come Stato Sovrano, come Francia? Un’ipotesi che gela il sangue e lascia immaginare scenari davvero apocalittici. Anche perché, la diplomazia appare sempre poco efficace. Il presidente Zelansky ha ripresentato il suo piano di pace a statunitensi ed europei. Al di là delle dichiarazioni, è un “piano per la vittoria”, che non crea le condizioni per l’inizio di un qualsiasi negoziato.
Qualcosa si è mosso a Kazan, in Russia, durante la riunione dei Brics, l’organizzazione economica informale che raccoglie i Paesi che vorrebbero creare un sistema di commercio internazionale basato su rapporti bilaterali – Paese con Paese – e non più sul dominio del dollaro. Qui Putin ha incontrato il segretario generale dell’Onu, Guterres. Hanno parlato della situazione internazionale, oltre che della guerra. Non ha portato a risultati concreti, ma è stata una prima volta dopo l’unico incontro dell’aprile del 2022. La reazione di Kiev è stata durissima, come dimostrano le parole del ministro degli Esteri ucraino. Riferendosi a Guterres ha detto: “ha declinato l’invito al nostro summit, accetta quello di un criminale di guerra”. Sul campo, l’offensiva russa continua nel Donetsk e ricomincia la strategia di logoramento di Mosca, che con l’arrivo dell’autunno punta a rendere infernale la vita degli ucraini, bombardando le centrali elettriche, per costringerli al freddo e le linee di rifornimento. Intanto, gli Stati Uniti hanno rinnovato il proprio sostegno a Kiev con un nuovo pacchetto di aiuti da 400 milioni di dollari proprio in vista di un inverno che si prevede difficile.
Più lontano, sull’altro fronte dello scontro fra “filoamericani” e “antagonisti”, si continua a morire. La pressione israeliana sula Striscia di Gaza non diminuisce e l’azione militare sul Libano resta violenta. Israele ha consegnato agli Stati Uniti il “piano di Pace” per fermare la guerra con il Paese dei Cedri. Washington ha nominato come “inviato speciale” Amos Hochstein. E’ volato a Beirut, per far digerire al governo libanese una proposta che, alle cancellerie internazionali, appare come una follia o una provocazione. In pratica, il progetto del governo Netanyahu, elaborato con le Forze Armate (Idf) e gli Stati Uniti, punta a trasformare il Libano del Sud in una grande area dove, in nome della propria sicurezza interna, Israele può liberamente svolgere operazioni militari contro Hezbollah.
Per capire meglio: Tel Aviv chiede, ad esempio, che i militari israeliani abbiano diritto di intervento diretto in azioni che mirino a evitare il riarmo e la riorganizzazione infrastrutturale di Hezbollah nel Libano meridionale, dal confine al fiume Awali. Cioè, potrebbero entrare a loro piacimento nel territorio di un altro Stato sovrano, il Libano, per fermare il loro nemico. La stessa cosa potrebbe fare l’aviazione israeliana. Gli osservatori internazionali fanno notare che la richiesta trasformerebbe de facto in un territorio occupato quella parte di Libano. Una situazione che ricorda quella che, già oggi, prevede una massiccia presenza di soldati israeliani in Cisgiordania e che permette loro di condurre incursioni in città e villaggi fuori dal loro controllo. Naturalmente, il piano chiede che la missione di interposizione Onu che si trova al confine tra i due Paesi, Unifil, ripetutamente attaccata in questi giorni dagli israeliani, venga completamente smantellata.
Difficile che il governo di Beirut accetti questa soluzione. Non a caso, Hochstein ha iniziato un’azione di velata minaccia. “Non è nell’interesse di Beirut legare il proprio destino ad altri conflitti”, ha spiegato, riferendosi a quanto accade a Gaza e all’appoggio politico-militare che Hezbollah continua a dare ai Palestinesi. “Gli Stati Uniti – ha aggiunto – vogliono porre fine a questo conflitto il prima possibile ed è su questo che stiamo lavorando. Stiamo lavorando con lo Stato del Libano e Israele per trovare una formula per porre fine a questo conflitto una volta per tutte”.