di Hari da Venezia
Dopo Dégradé, un film interamente ambientato in un salone di bellezza di Gaza e passato sugli schermi di Cannes nel 2015, i fratelli Tarzan e Arab Nasser sono sbarcati al Palazzo del Cinema del Lido di Venezia con una commedia che esplora una possibile quotidianità a Gaza. Una favola d’amore tenera, ironica e intelligente, che prende vita sul terreno ostile di quella Striscia senza tregua. Gaza Mon Amour è un film che esplora con gentilezza la vita di un pescatore sessantenne attaccato alla sua terra ed esperto del suo mare che si prepara a formulare una proposta di matrimonio.
I fratelli Nasser, palestinesi ma d’adozione parigina ormai decennale, si portano dietro dal precedente lavoro
Durante una consueta uscita notturna, infatti, Issa pesca il corpo della divinità greca come fosse un enorme pesce che la polizia e i funzionari non tarderanno a considerare di loro proprietà.“Dove hai trovato la statua? All’inizio, a metà o alla fine del mare?” viene chiesto a Issa. La “fine” del mare, definizione di cui viene sottolineata l’inappropriatezza, allude a quel limite illegale imposto dalle autorità israeliane nonostante gli accordi internazionali e ci ricorda gli interventi della pirateria e la sofferenza del popolo dei pescatori, in molti ormai ridotti a semplici pescivendoli. Il mare che bagna Gaza è un feroce terreno di scontro con Israele che ne limita continuamente l’agibilità (da ultimo lo scorso agosto). Se guardiamo il film, dobbiamo tenerlo a mente.
Apollo ci ricorda anche come le statue siano dei documenti della cultura e contemporaneamente della barbarie, degli oggetti che meglio e più di altri possono incarnare la celebrazione – e in questo caso le bizze – del potere. Intorno alla statua e al suo pene l’Autorità di Hamas interviene a più riprese. Il fallo è l’oggetto su cui, inevitabilmente, il film raggiunge dei guizzi quasi satirici appoggiandosi ai canoni classici della commedia.
L’Apollo viene prima nascosto da Issa, poi trovato dalla polizia e infine esaminato e valutato da un esperto per essere venduto, intralciando la parabola amorosa di Issa. Da documento dell’antichità nelle mani intuitive del pescatore diventa merce nelle mani incompetenti della burocrazia e motivo di arresto per il protagonista. Fa sorridere
Gaza Mon Amour è una commedia malinconica, che si permette a ben vedere di lasciare il conflitto sullo sfondo. L’obbiettivo dei due registi è evidentemente quello di raccontare le strategie del quotidiano, la vita che fluisce comunque. Si servono dell’apparizione di Apollo per raccontarci una microstoria, una delle possibili che a noi spettatori dei notiziari non giunge mai. Con questa commedia mettono da parte la politica del conflitto che governa Gaza e la terra palestinese – abbiamo altre fonti per esserne informati – per formulare una domanda che meno politica non è: si può amare a Gaza?
In copertina e nel testo un fotogrammi del film e un’immagine della delegazione al Festival