Vite remote, vite pendolari: storie di luce nel Venezuela al buio della crisi

Martina Martelloni
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Il tempo è in grado di mutare e, a volte, di trasformare l’assetto di un Paese così come lo conosciamo nel presente. Chi più, chi meno, tutti gli Stati del mondo subiscono e riflettono quelli che nella storia si definiscono come corsi e ricorsi. Alcuni Paesi, però, cambiano più di altri. Il Venezuela è uno di questi. Il Paese latinoamericano è una Repubblica federale che conta quasi 29 milioni di abitanti. Nell’ultimo decennio ha subito una metamorfosi sostanziale: da importante Paese esportatore di petrolio nel mondo -e dalle complicate relazioni internazionali e ruolo geopolitico- sta vivendo oggi una delle più gravi crisi economiche, politiche e sociali della sua storia. Le conseguenze di questo radicale passaggio sono evidenti sulle vite delle persone, segnate dagli effetti dell’instabilità e insicurezza che per molti si è tradotta in una fuga necessaria dal Paese.

La cronica fragilità socio-economica del Paese, iniziata nel 2014, ha esacerbato le condizioni di vita dei gruppi più vulnerabili. Quella di oggi è, per il Venezuela, una sfida umanitaria senza precedenti, poiché la diaspora di rifugiati e migranti ha assunto le dimensioni di più grande crisi di sfollamento al mondo, con un allarmante numero di oltre 7,7 milioni di persone che hanno lasciato il territorio.

Nello Stato di Apure, lungo il confine con la Colombia, le persone si ritrovano ad essere maggiormante esposte a rischi di emarginazione, violenza, discriminazione, sfruttamento e abusi di varia natura. L’accesso alla salute è limitato, le strutture mediche presenti sono poche e spesso irraggiungibili per la maggior parte della popolazione locale, per via delle grandi distanze e carenza di trasporto pubblico. Questo è un territorio di passaggio, di viaggi anche quotidiani lungo la frontiera per ricevere cure mediche o assistenza legale che, molto spesso, solo le organizzazioni umanitarie come INTERSOS riescono a dare. 

Nello stato dell’Amazonas, altra grande area del Paese, più forme di insicurezza, instabilità ed emarginazione si fondono insieme rendendo ancora più fragile la vita delle persone. Qui, vivono i popoli indigeni della foresta, con la loro cultura, le loro tradizioni, gli usi e modi di fare diversi e identitari. Tra le comunità più diffuse ci sono quelle degli “Jivi e Huottoja-Piaroa”, due etnie che mantengono vivo il loro carattere identitario cercando al tempo stesso di non estraniarsi completamente dal resto del Paese.

Per raccontare l’Amazonas si può partire dal concetto di futuro e da come sia faticosamente difeso e coltivato attraverso l’istruzione scolastica. La scuola è il luogo che più lo rappresenta. In queste zone c’è un problema di educazione molto più evidente e radicato rispetto al resto del Venezuela. In generale, la crisi ha comportato una riduzione degli orari di apprendimento o addirittura interruzioni di interi percorsi scolastici. Le infrastrutture, comprese le strutture e i servizi idrici delle scuole, risultano in condizioni critiche. Si stima che 900.000 minori in Venezuela siano fuori dalla scuola, almeno 1,3 milioni sono a rischio di abbandono scolastico e 270.000 sono in condizioni di vulnerabilità. Dal 2023 la ong INTERSOS raggiunge le comunità più remote nel cuore della foresta amazzonica, per sostenere e implementare il fragile sistema scolastico, formare insegnanti, riabilitare strutture, coinvolgere minori con attività educative e ricreative contrastando così l’alto tasso di abbandono scolastico e lavoro minorile.

La storia del reportage

Le foto sono state scattate nel febbraio 2024 da Martina Martelloni per Intersos.